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Santi del 5 Ottobre

Il mio Santo > I Santi di Ottobre

*Beato Alberto Marvelli - Laico (5 ottobre)
Ferrara, 21 marzo 1918 - Rimini, 5 ottobre 1946

Nacque a Ferrara il 21 marzo 1918, secondogenito di sette fratelli. Trasferitosi a Rimini con la famiglia nel 1930, Alberto Marvelli si formò all'interno dell'oratorio Salesiano e nell'Azione Cattolica, nelle cui file fece le prime esperienze di apostolato.
Laureatosi in ingegneria, lavorò presso la Fiat; fu allievo ufficiale a Trieste.
Durante la guerra si prodigò instancabilmente nell'opera dei soccorsi; finiti i combattimenti si impegnò nell'opera di ricostruzione.
Nel 1945 entrò a far parte della "Società Operai di Cristo". Presidente dei Laureati Cattolici, Vice Presidente diocesano dei Giovani di Azione Cattolica, membro dell'esecutivo della
Democrazia Cristiana, membro delle Conferenze di S. Vincenzo, Alberto Marvelli fu animatore di svariate iniziative di carità e di impegno sociale.
Consigliere comunale dopo la Liberazione, Assessore ai Lavori Pubblici, Presidente del Consorzio Idraulico, Capo della Sezione Autonoma del Genio Civile.
Morì il 5 ottobre 1946, a 28 anni, investito da un autoveicolo militare delle truppe di occupazione. Il 23 marzo 1986 fu promulgato il decreto sull'eroicità delle virtù; ad Alberto Marvelli venne così conferito il titolo di "Venerabile". La sua tomba è ora nella chiesa di S. Agostino.
Etimologia: Alberto = di illustre nobiltà, dal tedesco
Splendido esempio di giovane professionista, di laico impegnato nell’apostolato e nella costruzione di un mondo migliore anche come politico, in un’Italia che subiva gli ultimi contraccolpi della devastante Seconda Guerra Mondiale.
Nacque a Ferrara il 21 marzo 1918, ma fu Rimini che divenne il centro della sua opera e della sua vita, dopo che l’agiata famiglia, di solida formazione cattolica, vi si era trasferita nel 1930.
Fin dall’adolescenza ebbe un potente desiderio della santità, concepito non solo come bisogno della sua anima, ma anche come mezzo indispensabile per cooperare alla salvezza del prossimo.
Oltre l’opera di formazione morale ricevuta nell’ambiente familiare, a Rimini si aggiunse quella dell’Oratorio Salesiano e specialmente dell’Azione Cattolica, nelle cui fila ed organizzazione fece le prime esperienze di apostolato.
Si laureò nel 1941 in ingegneria all’Università di Bologna e lavorò per alcuni mesi presso la FIAT di Torino, nello stesso anno in pieno periodo di guerra, fu chiamato a prestare il servizio militare prima a Trieste e poi a Treviso; congedato nel settembre 1944, ritornò a Rimini, dove fu coinvolto nelle vicende drammatiche della città, devastata dalla guerra non ancora finita.
Al termine del conflitto mondiale, si dedicò con slancio alla ricostruzione morale e materiale della città; ebbe vari incarichi, come direttore dell’Ufficio Alloggi, Assessore Comunale, ingegnere del Genio Civile, membro della direzione cittadina della Democrazia Cristiana; tutto ciò gli diede una visibilità pubblica, facendolo diventare necessario per tutti.
In campo diocesano, nel 1945 entrò a far parte della Società Operai del Getsemani, di cui fondò a Rimini un reparto; ebbe l’incarico di Presidente dei Laureati Cattolici.
Le eccezionali doti che Alberto Marvelli possedeva, umane e spirituali, vissute con genuinità, sincerità e naturalezza, esercitavano un fascino su tutti, di qualunque idea politica o sociale fossero. Ed è con sorpresa che si constata come con la sua giovane età e alla luce del breve periodo della sua esistenza, abbia potuto svolgere un’attività così vasta e intensa in svariati campi.
Nell’apostolato profuse il suo particolare carisma, tramite i contatti personali, i discorsi, le lezioni, le conferenze; animò tante iniziative di carità e di assistenza sociale; fu membro delle Conferenze di S. Vincenzo con predilezione verso i poveri ed abbandonati.
Istituì per questi bisognosi, anche la ‘Messa del povero’ a cui seguiva la domenica, un pranzo sereno che serviva lui stesso.
La forza che animava tanto dinamismo, era l’amore di Dio, alimentato con l’assidua preghiera e con la comunione quotidiana; nel suo ‘Diario’ stampato dopo la sua morte, si possono verificare le tappe di questo costante e progressivo maturare nella vita interiore, fino ad arrivare alle vette dei mistici; fra l’altro scriveva: ”Gesù mi invita a salire, ad ascendere.
Ho un desiderio intenso di farmi santo attraverso la vita che il Signore mi riserva”.
Si dedicò generosamente nell’Italia del dopoguerra, all’attività politica ispirata ai principi cristiani, riscuotendo rispetto e stima dagli stessi avversari, si candidò nella lista della Democrazia Cristiana per l’elezione della prima Amministrazione Comunale, ma il Signore dispose diversamente.
Il 5 ottobre 1946, mentre si recava a tenere l’ultimo comizio, fu investito da un autoveicolo militare, morendo poche ore dopo a soli 28 anni, fra il compianto generale della rinata Italia e della diletta Rimini.
La figura di Alberto Marvelli si staglia come un autentico precursore del Concilio Vaticano II, riguardo il ruolo nella Chiesa e nella società, dell’apostolato dei laici.
Papa Giovanni Paolo II il 29 agosto 1982, lo additò alle migliaia di giovani convenuti a Rimini per il “Meeting dell’amicizia”, come modello da seguire per la gioventù cattolica.
La causa per la sua beatificazione fu introdotta il 1° marzo 1968, e la salma traslata dal cimitero nella chiesa di Sant'Agostino. Il 22 marzo 1986 è stato promulgato il decreto sulle virtù e dato il titolo di venerabile.
É stato beatificato da Papa Giovanni II il 5 settembre 2004 a Loreto.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
È un ingegnere emiliano morto a 28 anni, secondo dei sette figli dei coniugi Alfredo Marvelli e Maria Mayr. Famiglia benestante, che nel 1930 si trasferisce a Rimini.
Qui Alberto, dodicenne, incontra l’Oratorio salesiano e l’Azione cattolica.
Emerge presto come animatore e catechista, e poi nello sport, a cominciare dal ciclismo.
Dopo vengono calcio, nuoto, tennis.
Quando Alberto ha 15 anni, il padre muore per meningite fulminante; poi il fratello maggiore Adolfo entra all’Accademia militare e Alberto affianca la madre nel guidare la famiglia.
A Rimini frequenta il liceo classico (uno dei suoi compagni di classe è Federico Fellini) e vorrebbe entrare nell’Accademia navale: ma non è accolto per un difetto alla vista.
Si laurea in ingegneria nel 1941 a Bologna.
(Da anni nel tempo libero andava a lavorare in uno zuccherificio, e più tardi in una fonderia).
Nell’associazionismo cattolico è ormai una guida dei giovani, con una singolare capacità di entusiasmarli, “farli volare”.
E si amareggia per gli indifferenti: «S’incontrano giovani senza fede e senza entusiasmo per le altezze».
Ha preso a modello il futuro Beato Pier Giorgio Frassati,ì morto quando lui aveva sette anni: «Oh, se potessi imitarlo!».
Dal giugno 1940 l’Italia è in guerra: Alberto viene chiamato alle armi dopo la laurea, ma presto congedato, perché ha già due fratelli combattenti. Lo richiamano nel 1943, a Treviso.
E lì apprende che suo fratello Lello, il quartogenito, è morto sul fronte russo.
Torna a Rimini dopo l’armistizio del settembre 1943, ma poco dopo si “richiama in servizio” da sé, contro le sofferenze degli altri.
«Compare in bicicletta, pronto a portare aiuto, lucido, coraggioso, determinato: organizza, agisce, affronta i pericoli in prima persona» (F. Lanfranchi - P. Fiorini, A. M., un Beato che resta amico).
La guerra ha moltiplicato i “nullatenenti”, e lui li serve, pensa al pane, al sale, al latte, ai vestiti, ai rifugi.
Per lui vivere è soccorrere, muovendosi in bicicletta (a volte con un asino).
“Arruola” i ragazzi dell’Azione cattolica perché tanti disperati possano mangiare, vestirsi, dormire.
E continuare a vivere, a volte: ci sono ragazzi che rischiano la fucilazione perché non si arruolano nella Rsi.

Lui procura documenti, lasciapassare, nasconde i ricercati.
E un giorno i tedeschi arrestano lui, che però si mette in salvo durante un attacco aereo.
Non si sa quando dorma, perché nei momenti calmi lo vedono col rosario in mano.
Questo per lui è come mangiare e dormire.
In questa feroce stagione comincia a balenare quasi una “fama di santità” intorno a lui. C’è chi dice che, mentre distribuiva i soccorsi, le sue mani “erano luminose”.
Una donna gli parla del figlio che non torna mai dalla guerra, e lui un giorno le dice di correre a casa, dove l’aspetta suo figlio; ed è proprio così... L’ingegnere del rosario rimane “mobilitato” anche dopo la guerra, perché c’è un’epidemia di tifo.
E poi lo chiamano a lavorare nelle prime opere di ricostruzione; è tra i fondatori delle Acli; crea un’università popolare.
Chiamato da Benigno Zaccagnini, entra nella Democrazia cristiana, partecipando alla campagna elettorale amministrativa nell’autunno 1946.
E muore mentre va a tenere l’ultimo comizio, travolto da un camion con la sua bicicletta.
Nel 2004 Giovanni Paolo II lo ha proclamato Beato. Il corpo è custodito nella chiesa di Sant’Agostino a Rimini.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Alberto Marvelli, pregate per noi.

*Sant'Anna Schaeffer - Vergine (5 ottobre)

Mindelstetten (Baviera, Germania), 18 febbraio 1882 – 5 ottobre 1925
La storia della Beata Anna Schaeffer (1882-1925) è il racconto di come Dio sa trasformare i progetti degli uomini. Mandando all'aria anche quelli che noi gli penseremmo più congeniali.
La giovanissima Anna, bavarese, voleva andare missionaria in terre lontane. Di umilissime origini per raccogliere la «dote» allora necessaria per entrare in convento era andata a servizio presso una famiglia benestante.
Ma all'improvviso la morte del padre sconvolge la costringe a rimandare quel progetto: ci sono cinque fratelli e sorelle più piccole da aiutare. «Aspetterò che diventino grandi», pensa Anna. Ma un incidente nella lavanderia dove lavora la costringe inferma in un letto. A 21 anni è l'inizio di un vero e proprio Calvario, durissimo da accettare. Ma è anche l'inizio di una serie di illuminazioni.
Quel letto, a poco a poco, diventa un punto di riferimento per tante persone che vengono da lei a chiedere consiglio. La missione che pensava di vivere in terre lontane la realizza nella sua stanza. Morirà il 5 ottobre 1925. È stata proclamata beata nel 1999. (Avvenire)
Martirologio Romano: Nel villaggio di Mindelstetten nel territorio di Ratisbona in Germania, Beata Anna Schäffer, vergine, che all’età di diciannove anni, mentre prestava servizio come domestica, si ustionò con acqua bollente e, nonostante il progressivo peggioramento delle sue condizioni, visse poi serenamente in povertà e in preghiera, offrendo la croce del suo dolore per la salvezza delle anime.
É la terza degli otto figli del falegname bavarese Michele Schaeffer e di Teresa Forster. Famiglia di non molte risorse: tutti vivono sui modesti guadagni del padre. Anna riceve l’istruzione elementare nelle scuole di Mindelstetten e prende a coltivare un sogno: diventare suora e andare missionaria in terre lontane. Ma occorre un po’ di dote per essere accolta in una congregazione religiosa, e per metterla insieme lei cerca lavoro a Ratisbona (Regensburg). La prende a servizio una famiglia di benestanti, e questo è il primo passo verso l’avverarsi del sogno.
Ma è anche l’ultimo, sebbene Anna non lo sappia ancora. Un anno dopo, infatti, suo padre muore, e lei deve tornare a Mindelstetten per aiutare la famiglia orfana, con cinque fratelli e sorelle più piccoli di lei. Ancora lavoro, dunque, in casa e nelle famiglie del posto. Trascorrono così alcuni anni; i piccoli di casa crescono e forse presto non ci sarà più tanto bisogno di lei: forse potrà ripensare alla missione lontana...
Ma il 14 febbraio 1901, a diciannove anni, ecco la disgrazia che fa di lei un’invalida per sempre. Accade nella lavanderia della casa forestale di Stammham, presso Ingolstadt, dove lei lavora: una canna fumaria sta per sfilarsi e cadere, lei si arrampica per rimetterla a posto, ma va a cadere dentro una vasca di acqua calda con lisciva, e ne riporta ustioni dolorosissime alle gambe, fino ai ginocchi.
La curano nell’ospedale di Kosching e poi nel centro medico universitario di Erlangen; ma c’è ben poco da fare contro le piaghe che l’azione corrosiva del detergente ha provocato. Anna torna
nella sua casa di Mindelstetten dopo mesi di ricovero, e si ritrova invalida per sempre, mentre i suoi sono diventati più poveri di prima.
Una disgrazia dopo l’altra: la famiglia è in rovina, e lei prigioniera dei suoi dolori, resi insopportabili dalla certezza che non hanno rimedio, che non finiranno mai. Tutto questo a 21 anni: una situazione insopportabile, anche per lei così ricca di fede. E infatti non accetta di ritrovarsi così. Si ribella a questo patire senza speranza, lo dice ai suoi, alle amiche, a padre Karl Rieder, il suo parroco.
La conquista della serenità non avviene per illuminazioni improvvise. È una fatica lunga, che porta Anna a convincersi: la sua non è una condanna; è un compito che le affida il Signore al quale si è consacrata: essere “missionaria” così, dal letto e dalle piaghe. Infine, ecco l’accettazione.
Non come una resa, ma come atto di volontà: Anna offre le sue sofferenze al Signore. E ne ha molte da offrire: quelle dovute alla disgrazia in lavanderia e poi altre ancora: paralisi totale delle gambe, irrigidimento del midollo spinale, tumore all’intestino... Così piagata, parla dei suoi “sogni”, nei quali le appaiono il Signore e San Francesco.
Consiglia e incoraggia la gente venuta a chiederle aiuto e sostegno. Si scopre magnificamente necessaria, indispensabile, ai sani e ai sicuri: da quel letto è sempre “in servizio”, a voce e anche scrivendo lettere. Non lascia “ultime parole” o raccomandazioni prima di morire. Nel settembre 1925, una caduta dal letto le toglie la voce.
Si spegne con un sussurro: «Gesù, io vivo in te». E resta dopo la morte una presenza forte nel suo mondo bavarese. Sepolta dapprima nel cimitero, il corpo verrà poi trasportato nella chiesa parrocchiale di Mindelstetten. Giovanni Paolo II la proclamerà Beata nel 1999.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Anna Schaeffer, pregate per noi.

*Sant'Apollinare di Valence - Vescovo (5 ottobre)

Martirologio Romano: A Valence nel territorio di Vienne in Francia, sant’Apollinare, vescovo: fratello di sant’Avíto, vescovo di Vienne, fu uomo pervaso da fervore di giustizia e onestà e rinnovò l’autorità e l’antico decoro della religione cristiana nella sede di Valence rimasta a lungo vacante.
Figlio di Sant'Isicio, senatore, divenuto poi vescovo di Vienne, e fratello maggiore di Sant'Avito, nacque in questa città nel 453 da una famiglia illustre, imparentata con lo scrittore Sidonio Apollinare, se non con Avito che fu proclamato Augusto a Tolosa nel 455. Discepolo di San Mamerto, fu ordinato vescovo di Valence qualche anno avanti il 492, succedendo a Massimo che era stato denunziato al papa come manicheo.
Allontanato così dal fratello, continuò a conservare con lui relazioni affettuose di cui testimonia la corrispondenza nella quale attraverso l'affettazione di uno stile usuale nella sua epoca, appaiono sentimenti di una rara delicatezza, in occasione dello scambio di doni o di servizi e di feste celebrate insieme.
Non è certo che egli assistesse alla conferenza episcopale di Lione nel 499 poiché gli atti di essa sono apocrifi, ma la sua firma figura in documenti autentici emanati dai concili di Épaone (517) e di Lione (516-23).
Una Vita, rimasta anonima nonostante tutti i tentativi fatti per identificarne l'autore, non è al di là di ogni sospetto, ma si sbaglierebbe a farne senz'altro l'opera di un falsario come ha
preteso l'editore dei Monumenta, B. Krush, senza ricevere però l'assenso dei Bollandisti. Fatte queste riserve, vediamo i fatti.
Stefano, ufficiale del re Sigismondo, avendo sposato, nonostante i canoni, sua cognata Palladia, era stato colpito dal decreto 30 del concilio di Épaone, redatto specialmente per la circostanza, e la scomunica era stata rinnovata dal concilio di Lione. Sigismondo, infuriato, esiliò i vescovi presenti a Sardinia, borgata non identificata del lionese, ma dovette tosto richiamarli, ad eccezione di Apollinare.
Ammalatosi, il re ricuperò la salute per intercessione del santo di cui gli era stato fatto toccare un vestito e perciò mise fine anche all'esilio del santo vescovo.
Verso la fine della sua vita Apollinare intraprese un viaggio ad Arles e a Marsiglia durante il quale avrebbe incontrato San Cesario ed altri personaggi non meno illustri, sulla cui identità però permangono dubbi fondati. La stessa incertezza circonda i miracoli che avrebbero accompagnato la sua ultima malattia.
Apollinare morì verso il 520. La sua festa si celebra il 5 ottobre. I suoi resti, trasferiti a più riprese e deposti finalmente verso il 1060 nella chiesa dedicata al suo nome, furono dispersi nel sec. XVI dai calvinisti.
É onorato come patrono della diocesi di Valence sotto il nome popolare di Aplonay.

(Autore: Gérard Mathon – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Apollinare di Valence, pregate per noi.

*Sant'Attilano di Zamora - Vescovo (5 ottobre)

Martirologio Romano: A Zamóra sempre in Spagna, commemorazione di Sant’Attilano, vescovo, che, dapprima monaco, fu straordinario compagno di San Froilano nell’attirare a Cristo le regioni prima devastate dai Mori.
I Bollandisti, nel commento al Martirologio Romano, osservano che su Attilano «praeter ea quae leguntur in Vita S. Froilani BHL 3180 nihil certi traditum est». Froilano, oriundo di Lugo in Spagna, dopo aver atteso per un certo tempo all'evangelizzazione del popolo della campagna, si ritirò in un eremitaggio sul Monte Curueño, «habens secum collegam sanctum Atilanem sacerdotem», espressione che sembra indicare che i due, prima di essere compagni nella solitudine, lo erano stati nell'apostolato.
In seguito essi, con l'appoggio del re Alfonso III il Grande (m. 910), fondarono alcuni monasteri nella regione del León, nei quali accorsero molti uomini e donne desiderosi di vivere «sub regula sanctae disciplinae»: la tradizione vuole che questi monaci fossero benedettini.
Il re costrinse poi Froilano ad accettare la cattedra episcopale di León e Attilano quella di Zamora; la loro consacrazione ebbe luogo a León il giorno di Pentecoste, forse del 900.
Il nome di Attilano appare in una carta di Alfonso III datata in Sahagùn il 28 aprile 909 e in documenti vari, parte dei quali dell'archivio di Compostella, che vanno fino al gennaio del 916, anno della morte di Attilano.
In una Vita leggendaria, posteriore al 1132, si legge che Attilano, dopo dieci anni di episcopato,
fece un pellegrinaggio a Gerusalemme, in penitenza dei peccati commessi in gioventù, e, mentre usciva da Zamora, gettò l'anello pastorale nei gorghi del fiume Duero.
Due anni dopo, al suo ritorno, alloggiò in una capanna fuori della città senza essere riconosciuto; aperto un pesce che il suo ospite gli aveva messo innanzi, vi trovò dentro l'anello: allora, al suono spontaneo di tutte le campane, i suoi laceri abiti di pellegrino si trasformarono miracolosamente in splendide vesti pontificali.
Il corpo di Attilano fu ritrovato nel 1260 nella cattedrale di Sant'Ildefonso di Zamora, ove riposa anche oggi sotto l'altare maggiore, ad eccezione del capo che fu portato, forse con un furto, nella cattedrale di Toledo.
Restano anche il suo anello e il bastone da pellegrino. Nonostante le affermazioni del Galesino e di altri, egli non fu mai canonizzato.
La festa di Attilano, il cui culto risale al sec. XII, è celebrata il 5 ottobre (il 6 presso i Benedettini), e la diocesi di Zamora è posta sotto la sua tutela.

(Autore: Pietro Burchi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Attilano di Zamora, pregate per noi.

*Beato Bartolo Longo - Terziario Domenicano, Fondatore (5 ottobre)

Latiano, Brindisi, 10 Febbraio 1841 - Valle di Pompei, 5 Ottobre 1926
Inviato poi a Napoli per studiarvi Diritto, nel quale si laureò, vi perdette la fede e si irretì nelle oscure pratiche dello spiritismo.
Ma i richiami della coscienza e il saggio consiglio di un vero amico, lo condussero ai piedi del Padre Radente, dotto e santo Domenicano, che rianimò in quell’anima lo slanciò per le vie
dell’eroismo cristiano, animando in lui la propagazione della devozione al S. Rosario, da cui poi è sbocciato il Santuario di Pompei.
Fu ancora Padre Radente che lo aggregò al Terz’Ordine di San Domenico, di cui il Longo visse tutto lo spirito. Unitosi in matrimonio ad un’altra anima eletta, la Contessa De Fusco, per cinquant’anni vissero insieme in angelica unione di anima, solo consacrati ad un santo ideale.
Sostenuto dal miracoloso intervento di Maria, e da un' ardentissima fede, nel 1876 Longo poté far sorgere Pompei, la città del miracolo, con le grandiose opere di beneficenza alimentate dai prodigi della Vergine. Fino all’ultimo egli scrisse, pregò, lavorò instancabile per la sua dolce Regina e Signora.
Etimologia: Bartolo = figlio del valoroso, dall'aramaico
Martirologio Romano: A Pompei presso Napoli, Beato Bartolomeo Longo: avvocato dedito al culto mariano e all’istruzione cristiana dei contadini e dei fanciulli, fondò, con l’aiuto della pia moglie, il santuario del Rosario a Pompei e la Congregazione delle Suore che porta lo stesso titolo. La Madonna del Rosario ha un culto molto antico; si risale all’epoca dell’istituzione dei domenicani (XII secolo), i quali furono i maggiori propagatori del culto del S. Rosario.
La devozione della recita del rosario, chiamato anche ‘Salterio’, ebbe larga diffusione per la facilità con cui si poteva pregare; fu chiamato il Vangelo dei poveri, che in massima parte non sapevano leggere, perché dava il modo di poter pregare e nello stesso tempo meditare i misteri cristiani, senza la necessità di leggere un testo.
I misteri contemplati nella recita del Rosario sono ora venti, cinque gaudiosi, cinque della luce, cinque dolorosi, cinque gloriosi; per ogni mistero si recita un Padre Nostro, dieci Ave Maria e un Gloria al Padre; alla fine dei cinque misteri si conclude con la preghiera del Salve Regina.
Alla protezione della Vergine del Rosario, fu attribuita la vittoria della flotta cristiana sui turchi musulmani, avvenuta a Lepanto nel 1571.
A seguito di ciò, il papa San Pio V (1504-1572), istituì dal 1572 la festa del Santo Rosario, alla prima domenica di ottobre, che poi dal 1913 è stata spostata al 7 ottobre.
Il culto per il S. Rosario ebbe un’ulteriore diffusione dopo le apparizioni di Lourdes del 1858, dove la Vergine raccomandò la pratica di questa devozione.
La Madonna del Rosario, ebbe nei secoli una vasta gamma di raffigurazioni artistiche, quadri, affreschi, statue, di solito seduta in trono con il Bambino in braccio, in atto di mostrare o dare la corona del Rosario; la più conosciuta è quella che oltre quanto detto, si vede la corona data a S. Caterina da Siena e a San Domenico Guzman, inginocchiati ai lati del trono.
Ed è uno di questi quadri che ha dato vita alla devozione tutta mariana di Pompei; a questo punto bisogna parlare dell’iniziatore di questo culto, il Beato Bartolo Longo.
L’avvocato Bartolo Longo nacque a Latiano (Brindisi) il 10 febbraio 1841, di temperamento esuberante, da giovane si dedicò al ballo, alla scherma ed alla musica; intraprese gli studi superiori in forma privata a Lecce; dopo l’Unità d’Italia, nel 1863, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza nell’Università di Napoli.
Fu conquistato dallo spirito anticlericale che in quegli anni dominava nell’Ateneo napoletano, al punto da partecipare a manifestazioni contro il clero e il Papa.
Dubbioso sulla religione, si lasciò attrarre dallo spiritismo, allora molto praticato a Napoli, fino a diventarne un sacerdote che celebrava i riti imitando quelli della Chiesa.
Per sua buona sorte era legato da una solida amicizia con il prof. Vincenzo Pepe, suo compaesano e uomo religiosissimo, il quale saputo del suo tormento interiore lo avvicinò, convincendolo ad avere contatti con il dotto domenicano padre Radente, che con i suoi consigli e la sua dottrina, lo ricondusse alla fede cattolica e alle pratiche religiose.
Intanto il 12 dicembre 1864 si era laureato in Diritto, ritornò al paese natio e prese a dedicarsi ad una vita piena di carità e opere assistenziali; rinunziò al matrimonio, ricordando le parole del venerabile Emanuele Ribera redentorista: “Il Signore vuole da te grandi cose, sei destinato a compiere un’alta missione”.
Superati gli indugi, abbandonò la professione di avvocato, facendo voto di castità e ritornò a Napoli per dedicarsi in un campo più vasto alle opere di beneficenza; qui incontrò il beato padre Ludovico da Casoria, francescano, e Santa Caterina Volpicelli, due figure eminenti della santità cattolica dell’Ottocento napoletano, entrambi fondatori di Opere assistenziali e Congregazioni religiose, i quali lo consigliarono e indirizzarono ad una santa amicizia con la contessa Marianna De Fusco.
Da qui il Beato Bartolo Longo ebbe una svolta decisiva per la sua vita, divenne compagno inseparabile nelle opere caritatevoli della contessa, che era vedova, inoltre divenne istitutore dei suoi figli e amministratore dei vasti beni.
La loro convivenza diede adito a parecchi pettegolezzi, pur avendo il beneplacito
dell’arcivescovo di Napoli Cardinale Guglielmo Sanfelice; dopo un’udienza accordata loro da Papa Leone XIII, il quale sollecitava una soluzione confacente, decisero di sposarsi nell’aprile 1885, con il proposito però di vivere come buoni amici, in amore fraterno, come avevano fatto fino allora.
La contessa De Fusco era proprietaria di terreni ed abitazioni nel territorio di Pompei e Bartolo Longo, come amministratore si recava spesso nella Valle; vedendo l’ignoranza religiosa in cui vivevano i contadini sparsi nella campagne, prese ad insegnare loro il catechismo, a pregare e specialmente a recitare il rosario.
Una pia suora, Maria Concetta de Litala, gli donò una vecchia tela raffigurante la Madonna del Rosario, molto rovinata; restauratala alla meglio, Bartolo Longo decise di portarla nella Valle di Pompei e lui stesso racconta, che nel tratto finale, poggiò il quadro per trasportarlo, su un carro, che faceva la spola dalla periferia della città alla campagna, trasportando letame, che allora veniva usato come concime nei campi.
Il 13 febbraio 1876, il quadro venne esposto nella piccola chiesetta parrocchiale, da quel giorno la Madonna elargì con abbondanza grazie e miracoli; la folla di pellegrini e devoti aumentò a tal punto che si rendeva necessario costruire una chiesa più grande.
Bartolo Longo su consiglio anche del vescovo di Nola, Formisano che era l’Ordinario del luogo, iniziò il 9 maggio 1876 la costruzione del tempio che terminò nel 1887. Il quadro della Madonna, dopo essere stato opportunamente restaurato, venne sistemato su un trono splendido; l’immagine poi verrà anche incoronata con un diadema d’oro, ornato da più di 700 pietre preziose e benedetto da Papa Leone XIII.
La costruzione venne finanziata da innumerevoli offerte di denaro, proveniente da tante Associazioni del Rosario, sparse in tutta Italia, in breve divenne centro di grande spiritualità come lo è tuttora, fu elevata al grado di Santuario, centro del Sacramento della Confessione di milioni di fedeli, che si accostano alla santa Comunione in tutto l’anno.
Il Beato Bartolo Longo istituì per le opere sociali, un orfanotrofio femminile, affidandone la cura alle suore Domenicane Figlie del Rosario di Pompei, da lui fondate; ancora realizzò l’Istituto dei Figli dei Carcerati in controtendenza alle teorie di Lombroso, secondo cui i figli dei criminali sono per istinto destinati a delinquere; chiamò a dirigerli i Fratelli delle Scuole Cristiane.
Fondò nel 1884 il periodico “Il Rosario e la Nuova Pompei” che ancora oggi si stampa in centinaia di migliaia di copie, diffuse in tutto il mondo; la stampa era affidata alla tipografia da lui fondata per dare un avvenire ai suoi orfanelli; altre opere annesse sono asili, scuole, ospizi per anziani, ospedale, laboratori, Casa del pellegrino.
Il Santuario fu ampliato nel 1933-39, con la costruzione di un massiccio campanile alto 80 metri, un poco isolato dal tempio, con 11 campane di cui la più grande è di 50 quintali, con ascensore interno per la visita panoramica fino alla cima, dove c’è una grande croce luminosa di sette metri, enormi statue in bronzo, alte 5-6 metri ciascuna, sono esterne al campanile posizionate a vari livelli di altezza.
Nel 1893 Bartolo Longo offrì al Papa Leone XIII la proprietà del Santuario e di tutte le opere pompeiane, qualche anno più tardi rinunziò anche all’amministrazione che il papa gli aveva
rimasta; l’interno è a croce latina, tutta lavorata in marmo, ori, mosaici dorati, quadri ottocenteschi, con immensa cripta, il trono della Vergine circondato da colonne, sulla crociera vi è l’enorme cupola di 57 metri tutta affrescata.
Bartolo Longo in un pubblico discorso, lasciò le onorificenze ricevute, ai suoi orfani e la raccomandazione di essere sepolto nel santuario vicino alla sua Madonna; morì il 5 ottobre del 1926 e come suo desiderio fu sepolto nella cripta, in cui riposa anche la contessa De Fusco. Aveva trovato una zona paludosa e malsana, a causa dello straripamento del vicino fiume Sarno, abbandonata praticamente dal 1659, nonostante l’antica storia di Pompei, città di più di 20.000 abitanti nell’epoca romana, distrutta dall’eruzione del Vesuvio del 24 agosto 79 d.C.
Alla sua morte lasciò una città ripopolata, salubre, tutta ruotante attorno al Santuario e alle sue numerose Opere, a cui poi si affiancò il turismo per i ritrovati scavi della città sepolta.
È sua l’iniziativa della Supplica, da lui compilata, alla Madonna del Rosario di Pompei che si recita solennemente e con gran concorso di fedeli, l’8 maggio e la prima domenica di ottobre.
Bartolo Longo è stato beatificato il 26 ottobre 1980 da Papa Giovanni Paolo II. Il Santuario è Basilica Pontificia e come Loreto è sede di un vescovo (prelatura) con giurisdizione su Pompei.
Papa Giovanni Paolo II vi si è recato in pellegrinaggio all’inizio del suo pontificato, nel 1979 e una seconda volta nel compimento dei suoi 25 anni di pontificato nel 2003, a concludere ai piedi di Maria l’anno del Rosario da lui indetto.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Bartolo Longo, pregate per noi.

*Santa Caritina - Martire (5 ottobre)

Il Martyrologium Romanum inserisce in data odierna il ricordo di una Santa martire di nome Caritina, uccisa presso Corycus in Cilicia.
Martirologio Romano: A Gorgos in Cilicia, nell’odierna Turchia, Santa Caritína, martire.
Nei Martirologi greci il suo nome ricorre il 12, il 15 e il 20 gennaio, il 4 settembre, il 4 e il 5 ottobre.
Probabilmente, le celebrazioni del gennaio e dell'ottobre si riferiscono alla stessa persona, quella di settembre a un'omonima.
Il Martirologio Romano ricorda Caritina il 5 ottobre. Gli Atti contengono elementi leggendari e convenzionali: durante la persecuzione di Diocleziano, all'inizio del sec. IV, Caritina sarebbe stata condannata, dal tribunale di un certo Domizio, alla rasatura dei capelli e al supplizio della ruota; gettata poi in mare, sarebbe miracolosamente scampata e, ripresentatasi al giudice, avrebbe subito nuove torture, morendo, infine, tra i carboni ardenti.
L'antichità del suo culto a Corico è attestata da iscrizioni che ricordano Caritina come patrona di un santuario e di congregazioni religiose.
(Autore: Gian Domenico Gordini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Caritina, pregate per noi.

*Sant'Eliano di Cagliari - Vescovo e Martire (5 ottobre)
Cagliari, I-II sec.

Emblema: Bastone pastorale, Palma
Di Sant’Eliano vescovo di Cagliari, non ci sono pervenute notizie della sua vita; è un vescovo dei primi secoli del cristianesimo nell’Isola di Sardegna.
Il suo nome non compare oggi nelle celebrazioni della diocesi cagliaritana, probabilmente era inserito nei ‘Messali’ o ‘Proprio’ dei secoli scorsi, poi essendo il culto decaduto, è stato tolto dai
libri liturgici.
Le sue reliquie comunque sono nella cripta o Santuario della Cattedrale di Cagliari; questa cripta posta sotto il presbiterio, è divisa in tre cappelle nelle cui pareti, decorate a stucchi, vi sono piccoli loculi, con reliquie di martiri e santi cristiani della Sardegna.
Nel XVII secolo quando la Sardegna era suddita dell’Impero di Spagna, il vescovo di Cagliari di origine spagnola, Mons. Franciscus Desquivel, durante i grandi lavori di ristrutturazione della cattedrale, durati dal 1660 al 1702, originariamente in forme romanico-gotiche pisane, e trasformata in forme barocche; raccolse molte reliquie di santi e di martiri, sparse nella zona cagliaritana e le sistemò tumulandole nella cripta o Santuario della ristrutturata Cattedrale.
Fra esse vi sono anche quelle del vescovo Sant’Eliano la cui festa religiosa era al 5 ottobre, non si sa se fu pure martire, essendo dei primi tempi del cristianesimo.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eliano di Cagliari, pregate per noi.

*Santi Firmato e Flavina di Auxerre (5 ottobre)

Il Martirologio Geronimiano menziona al 5 ottobre «in Galliis civitate Autisiodere Firmati diaconi et Flavinae virginis Deo sacratae».
Il ms. di questo Martirologio, detto Wissemburgense, che fu trascritto al più tardi nel 772, e il Martirologio di Usuardo, precisano che i due santi erano fratello e sorella, e questo è tutto quello che i documenti storici ci riferiscono a loro riguardo.
Ci si può però chiedere se la menzione nello stesso giorno, provenga dalla loro parentela o dal fatto che sono realmente morti lo stesso giorno.

L'estrema povertà delle notizie non nuoce, peraltro, alla loro solidità che deriva dall'antichità, dal valore storico del Geronimiano e dall'origine autissiodorense della recensione, da cui derivano tutti i mss. esistenti.
Poiché l'archetipo di tali mss. risale alla fine del sec. VI, questa è la data più tardiva che si possa congetturare per la morte dei due santi.
La leggenda del martirio di San Placido in Sicilia gli associa tra gli altri Flavia et Firmatus, ma si sa che essa è priva di valore storico.
Il Martirologio Romano, tributario di questa leggenda, li menziona prima in Sicilia fra i compagni di San Placido, poi ad Auxerre, sotto la forma Firmatus, Flaviana.
Un testo tardivo, infine, ne fa dei martiri di Eurico, re dei Visigoti (m. 484).

(Autore: Paul Viard - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Firmato e Flavina di Auxerre, pregate per noi.

*Santa Flora di Beaulieu - Vergine (5 ottobre)

† 1347
Ancora giovane, entrò come religiosa nell'Ospedale di Beaulieu in Francia. Si distinse nella carità verso i poveri e gli infermi.
Martirologio Romano: A Beaulieu nel territorio di Cahors in Francia, commemorazione di santa Flora, vergine dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, che curò nell’ospedale gli ammalati poveri e condivise nel corpo e nell’anima la passione di Cristo.
Nacque a Maurs (Cantal) verso il 1300; i suoi genitori, Pons e Melhor, ebbero tre figli e sette figlie, di cui quattro si dovevano fare religiose a Beaulieu.
Flora non contava che quattordici anni quando entrò presso le religiose dell’ospedale di Beaulieu, fondato per i pellegrini verso il 1240 da Guiberto de Thémines e da sua moglie Aigline sulla strada da Figeac a Rocamadour, presso St-Julien d’Issendolus (Lot), dove dal 1298 si seguiva la regola degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme.
Nel suo convento Flora fu sottoposta a grandi prove interiori. Ella, che aveva lasciato il mondo per fare penitenza, temeva di dannarsi restando in questa casa dove non le mancava niente. Ma un
religioso la rassicurò dicendole che questa abbondanza sarebbe stata per lei un’occasione di grandi meriti se per amor di Dio si fosse astenuta dal superfluo. Subì anche molte tentazioni contro la castità – il demonio le ricordava le parole di Dio: “Crescete e moltiplicatevi” – e ne fu così turbata da essere considerata folle dalle sue consorelle.
Tante difficoltà furono ricompensate da favori mistici; per tre mesi il Signore le apparve sotto la fugura di un angelo che era dipinto sotto il chiostro del convento e le fece comprendere che le sofferenze che sopportava l’associavano alla sua passione.
In una festa d’Ognissanti, mentre si cantava “Vidi turbam magnam” ebbe la visione dei santi in Paradiso.
Si confessava e assisteva alla Messa ogni giorno, ma, secondo l’uso del tempo, non si comunicava che la domenica e nei giorni di festa.
Meditava diligentemente la pasione di Cristo, aiutandosi con l’Ordine della Croce di San Bonaventura, cioè, probabilmente, l’Officium de Passione Domini composto da questo santo. Mostrava una devozione particolare per la Vergine Maria nel mistero dell’Annunciazione, per San Giovanni Battista patrono del suo Ordine, per San Pietro e San Francesco.
Flora morì nel 1347. Numerosi miracoli ebbero luogo sulla tomba, ciò che indusse l’abate di Figeac a
procedere all’elevazione del corpo l’11 giugno 1360.
Un secolo più tardi un autore anonimo compose una raccolta di centonove racconti di prodigi o miracoli attribuiti alla sua intercessione; questi miracoli, che avvennero nell’Alvernia, nel Limosino, nel Rouergue, nel Périgord, nella Guascogna e a Montpellier, attestano l’estensione del suo culto.
Tuttavia solo nel sec. XVIII la festa di Flora, fissata al 5 ottobre, entrò nel Proprio della diocesi di Cahors.
Nell’Ovest della Francia è invocata durante i temporali insieme con Santa Barbara e Santa Chiara.
La Vita di Santa Flora fu scritta il latino dal suo confessore; il testo si è perduto, ma se ne è conservata una traduzione nel dialetto di Quercy fatta alla fine del sec. XV dall’autore anonimo che redasse la raccolta dei suoi miracoli.

(Autore: Philippe Rouillard - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Flora di Beaulieu, pregate per noi.

*San Froilano di Leon - Vescovo (5 ottobre)

832 - 905
Martirologio Romano: A León in Spagna, commemorazione di san Froilano, vescovo, che, elevato all’episcopato dopo aver condotto vita eremitiva, evangelizzò le regioni della Spagna liberate dal giogo dei Mori e rifulse per l’ardore nella propagazione della vita monastica e per la generosità verso i poveri.
Nato in un sobborgo di Lugo (Galizia) nell'832, a diciotto anni si ritirò a vita eremitica sugli aspri e silenziosi monti del Curueno, nella zona di Val di Cesar, dove una roccia tra i paesi di Corecillas e Montuerto porta ancora il suo nome e c'è ancora una chiesetta a lui dedicata. Un sacerdote di nome Attilano si unì a lui nella penitenza.
Datosi all’apostolato, evangelizzò la regione legionense popolata da cristiani fuggiti dal Sud per timore delle persecuzioni arabe. Ai margini del Curueno fondò nell’870 il monastero di Veseo, al quale accorsero presto religiosi dei luoghi vicini per vivere sotto l’obbedienza dell’abate Froilano ancora laico.
Intanto il re Alfonso III di Leon (886-910), dopo la vittoria di Polvoraria nell’878, pensò di consolidare le terre conquistate fino al Duero e a questo scopo chiamò Froilano alla sua corte di Oviedo e gli affidò la colonizzazione di queste terre cristiane. Il santo, sebbene a malincuore, abbandonò le montagne del Curueno e il monastero di Veseo e discese insieme con Attilano ed altri monaci fino alla pianura del fiume Esla, a nord di Zamora, dove fondò nell’880 il monastero di Tàbara, che presto si popolò di seicento monaci di ambo i sessi: fu forse il primo monastero duplice medievale della Spagna.
Tra gli altri monasteri fondati lungo la vallata dell'Esla, acquistò un’importanza straordinaria quello di Moreruela che, con quello di Tàbara, fu il primo monastero spagnolo che accettò la riforma cistercense.
Rimasta vacante la sede di Leon nel 900, i fedeli chiesero al re che venisse nominato vescovo Froilano, allora abate di Moreruela; questi da prima si oppose ma alla fine si vide costretto ad accettare e venne consacrato (contemporaneamente ad Attuano, creato vescovo di Zamora) nella festa di Pentecoste del 900, nella cattedrale della stessa Leon.
Visse settantatre anni e morì nel 905. Fu sepolto nel sarcofago che il re aveva preparato per se stesso nella cattedrale.
Non si conosce la data esatta in cui il popolo cominciò a rendere culto a Froilano. Nell’antifonario mozarabico della cattedrale di Leon, della prima metà del secolo X, in cui si contiene il Santorale completo di questa Chiesa, scritto ed illustrato dai discepoli e dai compagni di Froilano, non si trova ancora la sua festa; però il vescovo Pelagio di Oviedo, nel secolo XI, lo chiama Santo.
La traslazione delle sue spoglie dalla cattedrale di León al monastero di Val di Cesar avvenne nel 995 per l’imminente pericolo delle incursioni arabe. Nel secolo XI fu venerato a Val di Cesar; nella metà del secolo XII il corpo si trovava nel monastero di Moreruela, trasferitovi contro la volontà del popolo e del clero di León, i quali fecero ricorso a papa Alessandro III, chiedendone la restituzione.
Il papa diede la commissione al cardinale Giacinto, legato pontificio in Spagna, divenuto più tardi papa con il nome di Celestino III, che, durante il suo soggiorno a León nel 1173, ordinò il trasferimento della metà dei resti di Froilano a Leon, lasciando l’altra metà nel monastero di Moreruela. II Tudense, cronista reale, pone la traslazione nel 1181, essendo vescovo di Leon Manrico, iniziatore dei lavori di costruzione dell'attuale cattedrale.
La festa si celebra il 5 ottobre e quella della traslazione l'11 agosto. È patrono delle diocesi di León e Lugo e titolare del seminario maggiore legionense.
Il culto di Froilano lasciò traccia nell'arte locale di León. L'arca d'argento che contiene le reliquie del santo nell'altare maggiore della cattedrale è opera dell'orefice Enrico de Arfe (secolo XVI); la scultura (secolo XV) nella facciata sud rappresenta Froilano con ornamenti episcopali e i rilievi del timpano della porta stessa della facciata, chiamata di san Freniamo (secolo XIII), rappresenta la traslazione dei resti da Moreruela a León; nella cappella della Natività si conserva una vetrata dei secoli XIII-XIV, dedicata a Froilano, così come una delle tavole degli scanni del coro (secolo XV) presenta Froilano nella leggenda del miracolo del lupo; le tavole dipinte della pala dell'altar maggiore, opera del pittore Nicola Francese (secolo XV), presentano scene della vita del santo. Nella città di León ci fu fino al secolo XIX un ospedale dedicato al santo e nelle montagne esiste ancora la chiesetta di San Froilano.
Il giorno della festa (5 ottobre) si celebra nel santuario della Madonna del Cammino di questa città una festa con grande concorso di fedeli da tutte le regioni dell’antico regno asturiano-legionense.

(Autore: José M. Fernandez Catón - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Froilano di Leon, pregate per noi.

*San Gallo di Aosta - Vescovo (5 ottobre)

† Aosta, 5 ottobre 546
Emblema: Mitria, Bastone pastorale
I dati essenziali del suo episcopato si ritrovano nel suo epitafio, a lui coevo o quasi, che si conserva nella chiesa di Sant'Orso in Aosta:
“Hic requiescit in pace
s[an]c[ta]e memori[ae] Gallus
qui vixit in episcopatu
annos XVII menses II dies XX
d[efunctus] p[ie] d[ie] III nonas octobr[is]
duodecies p[ost] c[onsulatum] Paulini iunior[is] v[iri] c[larissimi]
indictione nona.”
Poiché l’anno duodecimo del consolato di Paolino il Giovane, che ebbe la carica nel 534, corrisponde al 546, anno in cui principiò la nona indizione, consegue che Gallo morì il 5 ottobre del 546 e che era stato consacrato la domenica 15 ottobre 528.

(Autore: Pietro Burchi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gallo di Aosta, pregate per noi.

*Beato Giovanni Battista del Santissimo Sacramento - Mercedario (5 ottobre)

† 5 ottobre 1616
Il mercedario, Beato Giovanni Battista Gonzàlez, l'8 maggio 1603 con l'aiuto economico della marchesa di Castellar, Venerabile Beatrice Ramirez de Mendoza, fondò il ramo dei mercedari scalzi in Spagna.
on l'autorizzazione del Maestro Generale Venerabile Alfonso Monroy, creò una casa di recollezione ed egli prese il nome di Giovanni Battista del Santissimo Sacramento. Altri mercedari seguirono il suo esempio ed accettarono la stretta osservanza così ben presto si poterono fondare altri conventi senza però mai desiderare la separazione dall'Ordine.
Grande esempio per la santità dei costumi, l'umiltà e obbedienza, maestro della povertà evangelica, misericordioso verso i poveri nonché promotore del culto verso la Santissima Eucaristia e della Beata Vergine.
Fu anche guida spirituale e confessore della Beata Marianna di Gesù.
Glorioso per i meriti e miracoli morì nel giorno da lui predetto 5 ottobre 1616.
L'Ordine lo festeggia il 5 ottobre.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Battista del Santissimo Sacramento, pregate per noi.

*San Girolamo di Nevers - Vescovo (5 ottobre)

† 5 febbraio 815
Martirologio Romano: A Nevers in Neustria, ora in Francia, san Girolamo, vescovo, che diede lustro alla sua Chiesa con la sua munificenza e la sua sollecitudine pastorale.
Nacque nel Nivernese da genitori ricchi e distinti. La santità della sua vita e la vasta cultura lo fecero scegliere all’unanimità quale vescovo di Nevers, dal clero, dai signori e dal popolo. La sua umiltà lo indusse dapprima al rifiuto, ma poi cedette al voto generale (795 circa).
Uomo di preghiera e caritatevole, quando prese il governo della diocesi vi trovò la miseria. Riceveva perciò i poveri e i viandanti, a cui donava le sue sostanze, anzi «si fece povero lui stesso per alleviare i poveri».
Restaurò i monasteri e la cattedrale, fondò il monastero del Santo Salvatore, a Nevers, costruì delle chiese, ottenne da Carlo Magno la restituzione dei beni ecclesiastici passati nelle mani dei laici. Assistette nell’813 al concilio di Tours.
Girolamo avrebbe interpretato un sogno di Carlo Magno il cui significato era che San Ciro domandava la restaurazione della sua cappella nella cattedrale e la restituzione del patrimonio di detta cattedrale. Fu a quel tempo che san Ciro sostituì san Gervasio come titolare della cattedrale e divenne, con San Giulitta, patrono della diocesi. Sembra che Girolamo sia morto il 5 febbraio dell’anno 815; in ogni caso, un documento dell’817 nomina il suo successore Jonas. Fu sepolto nella chiesa di San Martino, a Nevers; fino al 1793 le sue reliquie erano custodite in ima cassa di legno dorato.
Oggi la chiesa di Nolay (Nièvre) ne possiede alcune assai notevoli, mentre la cattedrale custodisce un osso del Santo. Il suo culto è attestato nel secolo XV. Un tempo, la sua festa era al 5 ottobre; è stata poi portata al 5 febbraio, e poi ripristinata al 5 ottobre dal nuovo Martirologio Romano.

(Autore: Paul Viard - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Girolamo di Nevers, pregate per noi.

*Beati Guglielmo Hartley, Giovanni Hewett e Roberto Sutton - Martiri (5 ottobre)

Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, beati martiri Guglielmo Hartley e Giovanni Hewett, sacerdoti, e Roberto Sutton, che per la loro fedeltà alla Chiesa cattolica furono impiccati in luoghi diversi nei pressi della città sotto la regina Elisabetta I.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Guglielmo Hartley, Giovanni Hewett e Roberto Sutton, pregate per noi.

*Santa Mamlacha - Vergine e Martire (5 ottobre)

Santa Mamlacha, Vergine e Martire, giunta in Persia dalla terra dei Garamei, venne uccisa per ordine di re Sapore II in odio alla fede cristiana.
Martirologio Romano: Commemorazione di Santa Mamláca, Vergine e Martire, che, giunta in Persia dalla terra dei Garamei, fu uccisa per ordine del re Sabor II.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Mamlacha, pregate per noi.

*Santa Maria Faustina Kowalska - Vergine (5 ottobre)

Glogowiec, Polonia, 25 agosto 1905 - Cracovia, Polonia, 5 ottobre 1938
Helena Kowalska nacque il 25 agosto 1905 nel villaggio di Głogowiec in Polonia, terza dei dieci figli di una coppia di contadini. Lasciata la casa paterna a 16 anni, lavorò come donna di servizio in alcune famiglie finché, nell’agosto 1925, non entrò nella Congregazione delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia a Varsavia; con la vestizione religiosa, assunse il nome di suor Maria Faustina. Impegnata nei più umili servizi in varie case della sua Congregazione, non lasciava trasparire nulla delle straordinarie comunicazioni divine che andava registrando nei suoi diari, cercando invece di vivere strettamente unita alla volontà di Dio e confidando nella sua misericordia. Malata di tubercolosi, morì il 5 ottobre 1938 nel convento di Cracovia-Łagiewniki, a 33 anni.
Il culto alla Divina Misericordia, di cui si è fatta portavoce, si è ben presto diffuso in Polonia e non solo. Beatificata da san Giovanni Paolo II il 18 aprile 1993, è stata da lui canonizzata il 30 aprile 2000. I suoi resti sono venerati nel Santuario della Divina Misericordia a Cracovia-Łagiewniki.
Etimologia: Faustina (come Fausta) = propizia, favorevole, dal latino
Martirologio Romano: A Cracovia in Polonia, santa Maria Faustina (Elena) Kowalska, vergine delle Suore della Beata Maria Vergine della Misericordia, che si adoperò molto per manifestare il mistero della divina misericordia.
Suor Faustina, terzogenita di dieci figli, nacque il 25 agosto 1905 da una povera famiglia di contadini, che abitava nel villaggio di Glogowiec in Polonia. Nel battesimo, ricevuto nella Chiesa parrocchiale di Swinice Warckie, presso Lódz, le venne posto il nome di Elena.
La famiglia Kowalski viveva di un piccolo podere agricolo e dell’attività di falegname del padre Stanislao, un uomo religioso, molto laborioso ma nello stesso tempo severo, il quale dimostrava un forte senso di responsabilità nell’adempimento dei suoi doveri professionali e familiari ed esigeva lo stesso dai figli, richiamandoli anche nelle loro più piccole trasgressioni.
La madre, Marianna Babel, era invece una persona sensibile, affettuosa, tollerante, laboriosa e tenace; insegnava alla piccola Elena e ai suoi fratelli le verità della fede e gli stessi principi di condotta cristiana professati dal padre. Vivendo in questo ambiente i bambini crescevano con un profondo senso della disciplina e dell’obbedienza maturando una grande stima per le cose sante. Inoltre fin da piccoli essi venivano educati alla laboriosità, al senso di responsabilità ed alla collaborazione familiare.
Nella famiglia Kowalski la fede costituiva l’elemento essenziale della vita: Dio era sempre al primo posto e ogni giorno la preghiera si univa armoniosamente al lavoro. Infatti il padre stesso, fin dal primo mattino, cantava il tradizionale inno dell’alba: Kiedy ranne wstajq zorze e le Piccole Ore della Beata Vergine Maria; mentre durante la Quaresima tutti insieme cantavano Amari Lamenti e osservavano scrupolosamente il digiuno e l’astinenza. Anche se la famiglia viveva poveramente del duro lavoro, tuttavia riusciva a trovare sia il denaro per comprare i libri religiosi sia il tempo per la lettura fatta in comune. Sono state proprio queste letture a far nascere la disposizione alla vita religiosa nell’animo della piccola Elena che fin dall’infanzia voleva vivere per Dio come i protagonisti di questi libri. Ella ne ricordava bene il contenuto e lo raccontava ai suoi coetanei durante il pascolo del bestiame o mentre giocavano insieme.
Il clima religioso della famiglia favoriva in lei il formarsi di una viva e personale unione con Dio, che si è rivelata molto presto, fin dall’età di sette anni, come ella stessa scrisse nel Diario: « O Gesù nascosto, in Te c’è tutta la mia forza. Fin dai più teneri anni Gesù nel Santissimo Sacramento mi ha attirata a Sé. All’età di sette anni, mentre ero ai vespri e Gesù era esposto nell’ostensorio fu allora che mi venne trasmesso per la prima volta l’amore di Dio che riempì il mio piccolo cuore, ed il Signore mi fece comprendere le cose divine... Tutta la forza della mia anima proviene dal Santissimo Sacramento».
A nove anni, come si usava allora, fece la sua prima confessione e si accostò alla Santa Comunione. Tornando dalla chiesa sentiva vivamente la presenza del Divino Ospite nella sua anima. «Perché non vai insieme alle tue amiche? - le domandò la vicina di casa -. Io vado con il Signore Gesù», rispose seriamente. La sua amica in quel giorno era felice perché aveva un bel vestito, mentre Elena era contenta perché aveva ricevuto Gesù. Istruita sui doveri religiosi, non soltanto cercava di adempirli da sola, ma desiderava anche che gli altri li adempissero. Il suo primo impegno era la Santa Messa
domenicale. Quando non aveva un vestito decoroso per andare in chiesa, si rifugiava nell’orto con il libro delle preghiere, unendosi spiritualmente al sacerdote e ai fedeli che partecipavano alla Santa Messa; non rispondeva neppure alle chiamate della madre e solo dopo la celebrazione dell’Eucaristia andava da lei e baciandole la mano diceva: «Mammina, non ti arrabbiare, Gesù si sarebbe rattristato più di te se non mi fossi raccolta in preghiera».
Tra i suoi fratelli si distingueva non soltanto per la devozione e l’amore per la preghiera, ma anche per la laboriosità, l’obbedienza e la serena accettazione della povertà. Grazie ad un profondo senso di responsabilità aiutava molto volentieri i genitori rinunciando anche ai giochi; voleva essere obbediente ed evitare di dar loro dei dispiaceri. Fin da bambina era molto sensibile alle privazioni ed alla miseria della gente e cercava in ogni modo di aiutarla. Un giorno, per esempio, vestita da mendicante, si mise a girare per le case e, recitando preghiere, chiedeva l’elemosina per i poveri. Un’altra volta invece organizzò una lotteria, e i soldi raccolti li diede al parroco, destinandoli ai bisognosi. Frequentò la scuola di Swinice aperta nel 1917 solo per tre anni.
La cominciò all’età di 12 anni e sebbene fosse una brava scolara, dovette rinunciare agli studi per far posto ai bambini più piccoli. Elena lasciò la casa natale quando aveva 16 anni portando con sé il tesoro della fede, l’amore per la preghiera, i sani principi della morale cristiana, nonché le virtù della laboriosità, dell’obbedienza e un forte senso di responsabilità. Prima andò ad Aleksandrów, vicino a Lódz dove lavorò come domestica dalla Signora Leokadia Bryszewska, proprietaria di un panificio. In quel periodo ebbe la misteriosa visione del «chiarore». Dopo tale evento tornò a casa per chiedere il permesso di entrare in un convento.
I genitori, pur essendo persone molto religiose, non volevano perdere la figlia migliore e giustificarono il rifiuto del permesso con la mancanza di denaro per la dote.
Ma Elena non si perse d’animo e decise di tornare a lavorare come domestica a Lódz. Prima trovò lavoro presso le Terziarie Francescane e dopo, presso Marcjanna Sadowska, proprietaria di un negozio di alimentari, la quale le affidò il compito di occuparsi della casa e dei bambini. «Era una persona allegra e alla mano - ricordava la sua padrona -. La sera quando si sedeva sullo sgabello, era subito circondata dai miei tre figli. Le volevano bene perché raccontava loro le fiabe... Quando dovevo partire non ero mai preoccupata, perché lei sapeva fare tutto meglio di me... Era gentile, educata, laboriosa. Non posso dire niente di male di lei perché era fin troppo buona. Così buona che mi mancano le parole di esprimermi».
Suor Faustina KowalskaMancandole il consenso dei genitori, Elena cercava di soffocare la voce della chiamata di Dio che - come scrive nel Diario - sentiva nella sua anima fin dall’età di sette anni. Un giorno andò con la sorella maggiore e con un’amica a una festa. Durante il ballo vide Cristo martoriato, il quale le diceva con rimprovero: «Quanto tempo ancora ti dovrò sopportare? Fino a quando mi ingannerai?». Sconvolta da questa visione lasciò la compagnia ed entrò nella chiesa più vicina, la cattedrale di Lódz. Prostrata davanti al Santissimo Sacramento chiese a Gesù cosa dovesse fare. Gesù le disse: «Parti immediatamente per Varsavia; là entrerai in convento». Informò la sorella della sua decisione, le chiese di salutare i genitori e partì per la capitale. Non conoscendo la città la prima cosa che fece fu di entrare nella chiesa di San Giacomo, nel quartiere di Ochota. Dal parroco ricevette l’indirizzo di una famiglia, presso la quale avrebbe potuto fermarsi finché non fosse stata accolta in un convento. « In quel tempo - annotò nel Diario - cominciai a cercare un convento, ma a qualsiasi porta ove bussai, incontrai un netto rifiuto.
Il dolore attanagliava il mio cuore e dissi a Gesù: «Aiutami. Non lasciarmi sola»». Finalmente bussò alla porta della casa della Congregazione delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia che si trova a Varsavia in via Zytnia. Dopo un breve colloquio, la superiora della casa, Madre Michaela Moraczewska, le suggerì di chiedere al Padrone della casa se l’avrebbe accolta. Elena comprese che doveva andare nella cappella a interpellare il Signore, e in risposta alla sua domanda sentì: «Ti accolgo; sei nel mio cuore». Quando riferì tali parole alla superi ora, questa le disse: «Se ti ha accettata il Signore, t’accetterò anch’io».
Prima però di entrare Elena lavorò ancora per un anno come domestica presso Aldona Lipszyc a Ostrówek, per guadagnarsi una modesta dote. Il l°agosto 1925 Elena varcava la soglia della clausura nella casa della Congregazione delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia a Varsavia. Nel suo Diario confessa: « Mi sentivo infinitamente felice; mi pareva di essere entrata nella vita del paradiso. Dal mio cuore erompeva, unica, la preghiera della gratitudine». Dopo alcune settimane sentì una forte tentazione di trasferirsi in un altro convento dove avrebbe potuto trovare più tempo per la preghiera. Allora Gesù, mostrandole il suo volto ferito e addolorato, le disse: «Tu mi causerai un simile dolore, se uscirai da questo ordine. È qui che t’ho chiamata e non altrove e ho preparato per te molte grazie».
Alla Congregazione alla quale Cristo chiamò Elena Kowalska appartenevano le cosiddette «Case della Misericordia» il cui scopo era la cura e l’educazione delle ragazze e delle donne bisognose di un profondo rinnovamento spirituale. Le Suore che svolgevano le funzioni di educatrici costituivano il cosiddetto primo coro. Al secondo coro appartenevano le suore che svolgevano i lavori (le mansioni) ausiliari. Ma ogni suora, indipendentemente dal tipo di lavoro a lei affidato, partecipava attivamente all’opera di salvare per l’eternità le anime che sembravano perdute. Elena fu accettata come suora del secondo coro, cioè fra le suore coadiutrici.
A Varsavia Elena trascorse i primi mesi della vita religiosa chiamati postulandato. In seguito si recò nella casa della Congregazione a Cracovia per compiere il noviziato. Durante la cerimonia della vestizione ricevette il nome di Suor Maria Faustina. Finito il noviziato emise i primi voti di castità, povertà ed obbedienza che rinnovò per 5 anni consecutivi fino alla professione perpetua emessa il 1° maggio 1933 a Cracovia. «Sono in Lui ed Egli in me - annotò in quell’occasione nel Diario.
Nel momento in cui il Vescovo mi ha messo l’anello, Iddio è penetrato in tutto il mio essere... Dopo i voti perpetui la mia intima unione con Dio è tanto forte, quanto non è stata mai in precedenza. Sento che amo Dio e sento che Egli ama me. La mia anima dopo aver gustato Iddio, non saprebbe vivere senza di Lui».
Suor Faustina, come professa, visse in diverse case della Congregazione, più a lungo a Cracovia, poi a Plock, quindi a Wilno, adempiendo principalmente le mansioni di cuoca, giardiniera e portinaia. Esteriormente nulla tradiva la straordinaria ricchezza della sua vita mistica. Con zelo eseguiva i doveri che le venivano affidati, osservando fedelmente e scrupolosamente le regole della comunità: così le suore ricordavano Suor Faustina alcuni anni dopo la sua morte. Ella, pur conducendo uno stile di vita semplice, spontaneo ed allegro, tuttavia si distingueva per una intensa vita contemplativa. Nei rapporti con il prossimo manifestava sensibilità e benevolenza, evidenziando continuamente il suo grande amore per ogni persona. Soltanto il Diario ha svelato la profondità della sua vita spirituale nota solo ai confessori ed in parte alle superiore.
Da un’attenta lettura di questi appunti si può comprendere quanto misticamente profonda fosse l’unione della sua anima con Dio e quanto Dio fosse presente nella sua anima, come pure le lotte e le difficoltà incontrate nel cammino verso la perfezione cristiana. «Gesù mio, - ha rivelato nel Diario - Tu sai che fin dai miei primissimi anni ho desiderato diventare una grande santa, cioè ho desiderato
amarTi con un amore tanto grande, quale finora nessun’anima ha avuto verso di Te».
Il Signore premiava generosamente il suo impegno spirituale concedendole il dono della contemplazione e della profonda conoscenza del mistero della Misericordia Divina. Gesù la onorava con grazie straordinarie come le visioni, le rivelazioni, le stimmate nascoste, l’unione mistica con Dio, il dono del discernimento dei cuori e della profezia, ecc. Ella, arricchita da queste grazie, ha scritto: « Né le grazie, né le rivelazioni, né le estasi, né alcun altro dono elargito alla mia anima la rendono perfetta, ma l’unione intima del mio spirito con Dio.
Questi doni sono soltanto un ornamento dell’anima, ma non ne costituiscono la sostanza né la perfezione. La mia santità e perfezione consistono in una stretta unione della mia volontà con la volontà di Dio ».
Nella vita spirituale di Suor Faustina Gesù ha scolpito due tratti caratteristici per i quali si distingueva quale apostola della Divina Misericordia: l’illimitata fiducia, la totale dedizione a Dio e l’attivo amore verso il prossimo che giungeva fino all’eroismo.
«Figlia mia, - le disse Gesù - se per tuo mezzo esigo dagli uomini il culto della mia misericordia, tu devi essere la prima a distinguerti per la fiducia nella mia misericordia. Esigo da te atti di misericordia, che debbono derivare dall’amore verso di me. Devi mostrare sempre e dovunque la misericordia verso il prossimo: non puoi esimerti da questo, né rifiutarti né giustificarti».
Suor Faustina era cosciente dell’azione di Dio nella sua anima e generosamente collaborava con la sua grazia. «O mio Gesù, - pregava - ognuno dei tuoi santi rispecchia in sé una delle tue virtù; io desidero rispecchiare il tuo Cuore compassionevole e pieno di misericordia... La tua misericordia, o Gesù, sia impressa nel mio cuore e nella mia anima come un sigillo, e ciò sarà il mio segno distintivo in questa e nell’altra vita».
La via dell’unione con Dio passa sempre attraverso la croce. La sofferenza purifica l’anima rendendola capace della più intensa partecipazione alla vita divina e all’opera redentrice di Gesù Cristo. Suor Faustina cercava di impararlo fin da bambina decidendo: «Nelle sofferenze conservare la serenità e l’equilibrio. Nei momenti difficili rifugiarsi nelle Piaghe di Gesù... Nelle prove procurerò di vedere l’amorevole mano di Dio». Ha capito che «tanto più il nostro amore diventa puro, tanto meno il fuoco delle sofferenze avrà da distruggere in noi e la sofferenza per noi cesserà di essere sofferenza: diventerà per noi una delizia. Con la grazia di Dio ora ho ottenuto questa disposizione del cuore, - annotava - cioè non sono mai tanto felice, come quando soffro per Gesù che amo con ogni palpito del cuore».
L’austerità della vita e i digiuni estenuanti ai quali si sottoponeva ancora prima di entrare nella Congregazione avevano indebolito il suo organismo e già durante il postulandato fu mandata a Skolimów, vicino a Varsavia, per curarsi. Dopo l’anno di noviziato ebbe le prime dolorose esperienze mistiche della «notte oscura dell’anima» e le sofferenze spirituali legate alla realizzazione della missione ricevuta da Gesù Cristo.
Il Giovedì Santo del 1934 si offrì come vittima di espiazione per i peccatori e ciò le comportò, in seguito, una serie di varie sofferenze per la salvezza delle anime. «Ho bisogno delle tue sofferenze per la salvezza delle anime», le ha insegnato Gesù. «Sappi, figlia mia, che il tuo quotidiano, silenzioso martirio nella totale sottomissione alla mia volontà, conduce molte anime in paradiso, e quando ti sembra che la sofferenza oltrepassi le tue forze, guarda le mie piaghe... La meditazione sulla mia passione ti aiuta a sollevarti al di sopra di tutto».
Negli ultimi anni della sua vita si intensificarono le sofferenze interiori della «notte passiva dello spirito» e le sofferenze fisiche: si aggravò la tubercolosi attaccando i polmoni e l’apparato digerente. Per questo Suor Faustina dovette ricoverarsi due volte per qualche mese nell’ospedale di Pradnik a Cracovia, dove ricevette il sacramento degli infermi.
Da quell’ospedale, nell’agosto del 1938, scriveva alla superiora generale Madre Michaela Moraczewska: «Carissima Madre, mi pare che questo sia il nostro ultimo colloquio sulla terra. Mi sento molto debole e scrivo con la mano tremante. Soffro ai limiti della sopportazione. Gesù non ci fa soffrire oltre le nostre forze. Se il dolore è grande, la grazia divina è immensa. Mi abbandono totalmente a Dio e alla Sua santa volontà. Sento sempre più intensa la nostalgia di Dio. La morte non mi fa paura, la mia anima è inondata da una grande calma».
Con questa lettera ringraziava per tutto il bene che aveva ricevuto nella Congregazione dal momento dell’ingresso, si scusava per tutte le infedeltà alla regola e chiedeva la benedizione per l’ora della morte. Alla fine scriveva: «Arrivederci, Carissima Madre, ci vedremo in ciclo ai piedi del Trono Divino».
Qualche giorno prima della morte Suor Faustina tornò nel convento di Lagiewniki a Cracovia. Prima di uscire dall’ospedale, il dott. A. Silberg le chiese l’immaginetta di Santa Teresa di Gesù Bambino che stava sul suo comodino e che lui voleva appendere vicino al letto di suo figlio. E quando l’infermiera espresse la sua preoccupazione per il pericolo di contagio, il medico la tranquillizzò dicendo: «I santi non contagiano».
Nell’ospedale le fece visita don Michele Sopocko, suo direttore spirituale di Wilno assegnatele da Dio per la realizzazione della missione della Misericordia. In quell’occasione Suor Faustina gli comunicò il giorno della propria morte. «Sembrava un essere divino - ha scritto di lei in seguito don Michele. - Allora non ho avuto più alcun dubbio che quello che era scritto nel suo Diario riguardo la Santa Comunione concessale dall’Angelo, fosse vero».
Nel convento, come richiedeva la regola, Suor Faustina invitò nella sua cella le consorelle per salutarle, per ringraziarle per tutti i favori ottenuti e per chiedere scusa per le eventuali trasgressioni commesse. Con il suo comportamento, la sua serenità, la sua pazienza, la sottomissione
amorosa alla volontà di Dio, fu edificante per tutte. Alla Superiora, Suor Irene Krzyzanowska, disse di non preoccuparsi per il culto della Misericordia Divina; personalmente desiderava che si adempisse solo la volontà di Dio al riguardo. Oltre a ciò aggiunse ancora: «Gesù vuole esaltarmi e la Congregazione per merito della mia persona potrà trarre molti benefici».
Si percepiva la sua intensa unione con Dio e una «quiete interiore - ricordava la superiora - che qualche volta non volevo turbare con le parole».
Il 5 ottobre 1938 venne a visitarla P. Giuseppe Andrasz, S.I., e Suor Faustina si confessò per l’ultima volta. La sera tardi, vicino al suo letto, si radunarono le consorelle che insieme al cappellano recitarono le preghiere per i moribondi. Suor Faustina partecipava alle loro preghiere, consapevole di essere giunta agli ultimi momenti della sua vita terrestre. Alle 22,45 si avviava silenziosamente verso la casa del Padre per cantare eternamente l’inno alla Misericordia Divina.
Consumata nel corpo e misticamente unita a Dio, morì in concetto di santità all’età di 33 anni, dopo 13 anni di vita religiosa. Nel Diario ha scritto: «Non mi dimenticherò di te, povera terra, sebbene senta che m’immergerò immediatamente tutta in Dio, come in un oceano di felicità, ma ciò non mi potrà impedire di tornare sulla terra a dare coraggio alle anime ed esortarle alla fiducia nella divina misericordia. Anzi, quell’immersione in Dio mi darà una possibilità d’azione illimitata».
Il funerale ebbe luogo il 7 ottobre, il giorno della festa della Madonna del Rosario e primo venerdì del mese. Dei suoi parenti non venne nessuno perché Suor Faustina, considerando il costo del viaggio, aveva chiesto di non informarli. Dopo la Santa Messa, nel corteo funebre presieduto dai sacerdoti, le suore e le educande portarono a spalla la bara nel cimitero del convento e lì, dopo la cerimonia di commiato, venne deposta nella tomba. Durante la seconda guerra mondiale si è diffusa velocemente nel mondo la devozione alla Misericordia Divina. A seguito di questo don Sopocko ha ritenuto opportuno rivelare chi era la sua promotrice, la cui fama di santità cresceva di anno in anno. Così si sono realizzate le sue parole profetiche scritte nel Diario: «Avverto bene che la mia missione non finirà con la mia morte, ma incomincerà».
Prima della sua morte, poche persone erano a conoscenza della sua profonda vita mistica e della missione che doveva compiere; oggi il messaggio della Misericordia a lei rivelato da Gesù è noto in tutti i continenti e si diffonde rapidamente tra il clero e tra i fedeli.
Al Santuario della Misericordia Divina di Lagiewniki a Cracovia, dove si trova l’immagine di Gesù Misericordioso, fonte di grazia e di salvezza, e dove dal 1966 riposano i resti mortali di Suor Faustina, giungono pellegrini da tutta la Polonia e da molti paesi del mondo per chiedere l’intercessione dell’umile Apostola della Misericordia Divina.
Le numerose testimonianze di riconoscenza per le grazie e i benefici concessi, costituiscono la prova dell’efficacia della sua mediazione.

(Fonte: www.divinamisericordia.it)
Giaculatoria - Santa Maria Faustina Kowalska, pregate per noi.

*Beato Mariano (Marian) Skrzypczak - Sacerdote e Martire (5 ottobre)
Scheda del gruppo a cui appartiene:

“Beati 108 Martiri Polacchi”
Janowiec, Polonia, 15 aprile 1909 – Plonkowo, Polonia, 5 ottobre 1939

Marian Skrzypczak, sacerdote dell’arcidiocesi di Gniezno, cadde vittima dei nazisti in odio alla sua fede cristiana.
Papa Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999 lo elevò agli onori degli altari con ben altre 107 vittime della medesima persecuzione.
Martirologio Romano: Nella cittadina di Plonkowo sempre in Polonia, Beato Mariano Skrzypezak, sacerdote e martire, che, durante l’occupazione della Polonia da parte di un regime ostile a Dio, fucilato davanti alla chiesa, ottenne per la sua invitta fede la palma del martirio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Mariano Skrzypczak, pregate per noi.

*Santi Martiri di Treviri (5 ottobre)

† Treviri (Germania), III secolo
Etimologia: Crescenzio = accresce (la famiglia), dal latino
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Treviri nella Gallia belgica, nel territorio dell’odierna Germania, commemorazione dei santi martiri, che si ritiene abbiano conseguito la palma del martirio durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano.
Nel nuovo ‘Martyrologium Romanum’ il gruppo dei martiri Crescenzio, Costanzo, Giustino, Massenzio e altri compagni, che subirono il martirio a Treviri in Germania, sotto il preside Riziovaro, durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano (243-313) è stato posto come celebrazione al 5 ottobre.
Nel precedente Martirologio Romano erano ricordati al 12 dicembre solo loro quattro; perché poi lo storico Cesare Baronio nel secolo XVI, li avesse divisi da altri compagni e messi al 12 dicembre, non si sa. I nomi dei quattro martiri ricorrono in una tavola di piombo, ritrovata nel 1072 nella cripta della chiesa di San Paolino a Treviri, con incisa un’iscrizione latina che indicava che lì giacevano le reliquie oltre che di Crescenzio, Costanzo, Giustino, Massenzio, anche di Palmazio, Leandro, Sotero, Alessandro, Ormisda, Papirio, Constante, Gioviano.
Questo secondo gruppo di martiri, di cui come per gli altri non si sa niente di preciso, venivano celebrati al 5 ottobre, mentre come già detto, gli altri quattro al 12 dicembre.
Ora la loro memoria liturgica è stata unificata al 5 ottobre, sotto l’unica denominazione di “Martiri di Treviri”.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Martiri di Treviri, pregate per noi.

*Beato Matteo Carreri - Domenicano (5 ottobre)

Mantova, 1420 - Vigevano, 5 ottobre 1470
Entrò a 20 anni nel convento della nativa Mantova. Si rese celebre per la sua fervente predicazione, il cui tema centrale era la Passione di Gesù. La sua voce appassionata risuonò in Lombardia, Toscana, Liguria e Veneto, ottenendo la conversione di innumerevoli peccatori e guidando sulla via della perfezione molte anime tra cui la Beata Stefana Quinzani.
La sua carità fu tale che egli si offrì in schiavitù al posto di una giovane donna. A Vigevano dove era giunto per predicare, ricevette il premio del suo apostolato: l'incontro definitivo con Cristo, il 5 ottobre. Il suo corpo è venerato nella chiesa di s. Pietro martire a Vigevano, città che lo invoca come patrono.
Etimologia: Matteo = uomo di Dio, dall'ebraico
Martirologio Romano: A Vigevano in Lombardia, Beato Matteo (Giovanni Francesco) Carreri, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che fu nel suo tempo un incisivo ed eloquente predicatore della parola di Dio.
Gian Francesco Carreri, della nobilissima famiglia Carreri, va annoverato tra i religiosi che più strenuamente nel XV° secolo si affaticarono per la salute delle anime e per la riforma dell’Ordine.
Cambiò il suo nome di battesimo in Matteo. Da fanciullo sembrò un angelo per la bellezza del corpo e per la bontà del cuore.
Non gli mancarono insidie e tentazioni, ma egli, con la grazia di Dio le superò tutte, riportando completa vittoria.
Desideroso di abbracciare la vita religiosa chiedeva al Signore di fargli conoscere la sua volontà, e un giorno, entrando nella chiesa di San Domenico di Mantova, rimase così soavemente colpito dalla devota salmodia dei frati, che subito decise di entrare nell’Ordine dei Predicatori.
Il suo noviziato fu uno dei più ferventi, e spesso il Padre Maestro doveva moderarne l’eccessivo ardore. La preghiera, lo studio, la penitenza furono i mezzi sicuri con cui si preparò alla sua portentosa predicazione. La Lombardia e la Toscana furono scosse dalla sua ardente parola e dai prodigi che l’accompagnavano.
Combatté senza posa la profanazione dei giorni festivi e i divertimenti illeciti. Portò uno spirito nuovo nei vari conventi, specialmente in quello di Soncino, in cui introdusse una riforma completa.
Curò molto il Terz’Ordine e vi fece sbocciare quel mirabile fiore di santità, che fu Luchina da Soncino. Bramò di gustare, prima di morire, qualche goccia della Passione del Salvatore, e l’ottenne. Il Crocifisso gli apparve e, trapassandogli il cuore con un acuto strale, lo assicurò del premio vicino.
La sua morte, avvenuta il 5 ottobre 1470 a Vigevano, fu seguita da moltissimi miracoli. Il suo corpo è venerato nella chiesa di San Pietro Martire. I vigevanesi nel 1482 hanno ottenuto da Papa Sisto IV di celebrare la memoria liturgica e, nel 1518, lo hanno proclamato Compatrono della città. Papa Benedetto XIV il 23 settembre 1742 ha confermato il culto.
(Autore: Franco Mariani – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Matteo Carreri, pregate per noi.

*San Meinulfo (Meinolfo) di Paderborn - Diacono (5 ottobre)

793 - 5 ottobre 847/857
Martirologio Romano: Presso Paderborn in Sassonia, nell’odierna Germania, San Meinolfo, diacono, che costruì e adornò il monastero di Böddeken, dove stabilì una comunità di sacre vergini.
Di Meinulfo (Magenulfo; lat. Magenulphus, Meinulphus; ted. Meinolf) esistono due Vitae, una composta da Sigewardo, abate di Fulda, verso il 1035, l'altra redatta da Gobelino Persona, officiale di Paderborn, tra il 1409 e il 1416, ambedue, sembra, dipendenti da una precedente Vita del secolo IX andata perduta, ma ricche di leggende.
Ad esse va aggiunta la Translatio di San Liborio, vescovo di Le Mans, a Paderborn, opera anonima, in cui si attribuisce a Meinulfo il trasferimento delle reliquie del Santo vescovo; ma questa fonte non merita più credito delle altre due. Le notizie che seguono perciò sono da prendere con cautela.
Nato nell'ultimo decennio del secolo VIII, forse nel 793, Meinulfo fu tenuto a Battesimo da Carlo Magno.
Mortogli prematuramente il padre, Carlo lo prese sotto la sua protezione e lo affidò alla scuola cattedrale di Paderborn, dove fu educato dal vescovo Badurado che lo ordinò diacono e più tardi lo nominò arcidiacono.
Verso l’836, Meinulfo fondò a Boddeken sul terreno ereditato dal padre e col concorso della madre Wichtrude, un monastero di Canonichesse Regolari che dotò riccamente, introducendovi la legislazione promulgata dal concilio di Aquisgrana dell’817: la chiesa del monastero fu consacrata il
10 novembre 837. Verso la stessa epoca Meinulfo avrebbe curato il trasferimento del corpo di san Liborio. Assiduo nella predicazione egli si prodigava con zelo in tutta la diocesi di Paderborn.
Morì il 5 ottobre dell’847 o dell’857 e fu sepolto nella chiesa del monastero da lui fondato, dove fu oggetto di culto e la sua tomba fu meta di pellegrinaggi. Il suo corpo sarebbe stato elevato dal vescovo Bisone tra l’887 e l’896.
Nel 1409 nel monastero di Boddeken i Canonici Regolari successero alle Canonichesse, rimanendovi fino al 1803, quando il monastero fu soppresso. Allora le reliquie del santo furono traslate a Paderborn nella chiesa chiamata Busdorf.
Meinulfo, la cui festa ricorre il 5 ottobre, è venerato come patrono a Bellersen, Bielefeld, Boddeken, Dinkelburg, Schloss Neuhaus, Paderborn e altrove. È rappresentato vestito da diacono con un gran modello di chiesa in mano e ai piedi un cervo, nella cappella di Alpen; a Paderborn, nel Collegio leoniano, in un affresco di R. Sehrbrock, con la Madonna e san Liborio.
(Autore: Willibrord Lampen)
Iconografia
In vesti di diacono, Meinulfo è rappresentato con un modello di chiesa tra le mani, in ricordo della fondazione del convento di Boedeken. Questo sorse nel luogo ove al Santo apparve un cervo recante tra le corna una croce; questo particolare, comune alle tradizioni di Sant'Eustachio e Sant'Uberto, è rappresentato, come l’attributo precedentemente descritto, in una statua del secolo XV nella cappella di san Walburga ad Alfen, presso Paderborn.
Negli antichi sigilli del convento di Boedeeken Meinulfo reca in mano un libro ed una palma, ma la ragione di quest’ultimo attributo non è chiara in quanto il Santo non pare abbia subito il martirio.

(Autore: Angelo Maria Raggi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Meinulfo di Paderborn, pregate per noi.

*Beato Pietro da Imola - Cavaliere di Malta (5 ottobre)

† Firenze, 5 ottobre 1320
Martirologio Romano: A Firenze, Beato Pietro da Imola, che, cavaliere dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, si prese con pia carità cura degli infermi.
Il Beato Pietro nacque verso la metà del sec. XIII da un Giacomo di Antonio, appartenente alla nobile famiglia ghibellina dei Pattarmi, signori di Linaro dal 1137.
Valentissimo giureconsulto (l'Imolensis), il suo nome compare in svariati documenti imolesi: nel 1289 come index, cioè magistrato, e nel 1299 come artefice principale delle trattative di pace tra guelfi e ghibellini in Romagna; una carta del 1310 fu redatta “in domo ser
Petri de Patarenis”, casa poi meglio identificata con quella dei conti Zampieri.
Nel 1311, quando i ghibellini furono banditi dalla Romagna, Pietro trovò rifugio a Firenze, dove non mancò di impegnarsi in opere di carità negli ospedali.
Si fece cavaliere dell'ordine militare di San Giovanni di Gerusalemme, oggi noto come Ordine di Malta.
Eletto Gran Priore di Roma, fece poi ritorno a Firenze dove diresse la Commenda di San Giacomo in Corbolino, una piccola chiesetta che ancora oggi si affaccia su via Faenza, interamente dedito alle opere di carità e all'assistenza degli infermi.
Nel capoluogo toscano concluse la sua vita terrena il 5 ottobre 1320.
Proprio a tale secolo risale la pietra tombale posta in San Giacomo recante un'immagine del Beato e l'iscrizione “B. Petrus de Imola Requiescat in pace” e attorno “Hic Iacet D. Fr. Petrus de Imola I. U. Professor Ven. Prior Priorat. Urbis anno DNI MCCCXX qnto Octob.
Requievit in Domino”.
In epoca indeterminata, le sue reliquie furono esumate da quella tomba e riposte sotto l'altare maggiore, in seguito ad un miracolo attribuito alla sua intercessione.
Reliquie del Beato Pietro sono venerate anche nella cattedrale di Imola, sua città d’origine, dove è anche raffigurato in un quadro e due affreschi.
Nell’anniversario della nascita al Cielo, così il Martirologio Romano commemora la festa di questo esemplare testimone di Cristo: “A Firenze, beato Pietro da Imola, che, cavaliere dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, si prese con pia carità cura degli infermi”.

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Pietro da Imola, pregate per noi.

*San Placido - Monaco (5 ottobre)

sec. VI
Fu, assieme a Mauro, uno dei più noti discepoli di san Benedetto. Dei due, Placido era forse il più giovane: poco più che un fanciullo, quando venne posto sotto la guida dell'abate Benedetto. Per questo viene considerato patrono dei novizi benedettini.
A Placido, oltre che a Mauro, è attribuito un celebre episodio miracoloso narrato da san Gregorio Magno nei suoi Dialoghi. Mentre Benedetto era nella sua cella, un giorno, il giovane Placido si recò ad attingere acqua nel lago.
Perse l'equilibrio e cadde nella corrente, che subito lo trascinò lontano dalla riva. L'abate, nella cella, conobbe per rivelazione l'accaduto.
Chiamò Mauro e gli disse di correre in soccorso del confratello. Mauro si affrettò ad obbedire correndo sull'acqua, fino a raggiungerlo e trarlo in salvo. San Placido, invocato per tutto l'Alto Medioevo come "Confessore", venne trasformato in martire alla fine dell'XI secolo. Un fantasioso biografo compose infatti un falso racconto della sua Passione, sofferta in Sicilia, per opera dei Saraceni.
Patronato: Novizi monaci
Etimologia: Placido = colui che è dolce e mansueto
Martirologio Romano: Commemorazione di san Placido, monaco, che fu sin dalla fanciullezza discepolo carissimo di san Benedetto.
Il Calendario universale della Chiesa non segna oggi questa memoria, ricordata invece dal Martirologio Romano. Non esitiamo però ad ammettere che San Placido - onorato, a torto, come Martire, e vedremo perché, - sia il personaggio più noto, tra i Santi, a tale data.
E’ però una celebrità riflessa, come di una subitanea illuminazione, che esalta per un momento un oggetto, scoprendolo dall'ombra, per riconsegnarlo all'ombra.
Placido fu, con Mauro, il più docile discepolo del grande San Benedetto, il quale li ebbe ambedue, Placido e Mauro, cari come figli.
Dei due, Placido era forse il più giovane: poco più che un fanciullo, quando venne posto sotto la paterna guida dell'Abate San Benedetto. Per questo, San Placido viene considerato quale Patrono dei novizi, cioè dei giovani che si preparano alla professione religiosa nei monasteri benedettini.
A Placido, oltre che a Mauro, è attribuito un celebre episodio miracoloso narrato da San Gregorio Magno nei suoi Dialoghi. Mentre Benedetto era nella sua cella, un giorno, il giovane Placido si recò ad attingere acqua nel lago. Perse l'equilibrio e cadde nella corrente, che subito lo trascinò lontano dalla riva.
L'Abate, nella cella, conobbe per rivelazione l'accaduto. Chiamò Mauro e gli disse di correre in soccorso del confratello. Ricevuta la benedizione, Mauro si affrettò ad obbedire: valicò la riva, e seguitò a correre sull'acqua, fino a raggiungere Placido. Afferratolo, lo riportò a riva, e soltanto giungendo sulla terra asciutta, voltosi indietro, si accorse di aver camminato sull'acqua, come San Pietro sul lago di Tiberiade.
L'episodio ebbe un seguito ancor più commovente, perché San Benedetto attribuì il prodigio al
merito dell'obbedienza di Mauro, mentre il discepolo lo attribuiva ai meriti dell'Abate. Il giudizio venne rimesso a Placido, il quale disse: "Quando venivo tratto dall'acqua, vedevo sopra il mio capo il mantello dell'Abate, e mi pareva che fosse egli a riportarmi a riva".
In questo episodio narrato da San Gregorio è contenuto tutto ciò che sappiamo sul conto di Placido. Anch'egli, come Mauro, è circonfuso e quasi confuso nella luce di San Benedetto.
La sua santità fa quasi parte della aureola del Patriarca, della cui Regola fu l'interprete più pronto.
Resta da accennare al fatto che San Placido, invocato per tutto l'Alto Medioevo come Confessore,  venne trasformato in Martire alla fine dell'XI secolo. Un fantasioso biografo compose infatti un falso racconto della sua Passione, sofferta in Sicilia, per opera dei Saraceni.
Ma è un'invenzione che contrasta non soltanto con la realtà storica, ma anche con il carattere stesso della santità di Placido, che preferiamo immaginare sempre umile e obbediente, pacifico e nascosto.
(Fonte: Archivio Parrocchia - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Placido, pregate per noi.

*Beato Raffaele Alcocer Martínez - Sacerdote Benedettino, Martire (5 ottobre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Benedettini" Beatificati nel 2016 - Senza data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Madrid, Spagna, 29 ottobre 1889 - La Elipa, Spagna, 5 ottobre 1936
Padre Rafael Alcocer Martínez, membro della comunità benedettina di Nostra Signora di Montserrat a Madrid, fu colui che avvisò gli altri confratelli dell’inizio della guerra civile spagnola. Dopo la dispersione della comunità, si rifugiò in casa di un suo amico libraio, ma venne scoperto e fucilato presso La Elipa il 4 ottobre 1936; aveva 48 anni.
È stato beatificato a Madrid il 29 ottobre 2016, insieme ad altri tre confratelli del suo stesso monastero. I loro resti mortali sono venerati nella “sacrestia dei Martiri” della chiesa di Nostra Signora di Montserrat a Madrid, in calle de San Bernardo 79.
Juan Rafael Mariano Alcocer Martínez nacque a Madrid, in calle San José, il 29 ottobre 1889 e ricevette il battesimo nella parrocchia madrilena di San Sebastiano.
A vent’anni entrò nel noviziato dell’Abbazia benedettina di San Domenico di Silos, ma dovette uscirne temporaneamente per prestare servizio militare a Ceuta. Tornato a Silos, emise la professione monastica il 6 aprile 1915 e venne ordinato sacerdote a Burgos il 25 agosto 1918.
Laureato in Lettere e Filosofia, scrisse numerose opere letterarie e godette fama di essere un buon oratore. Dal 1926 risiedette nel priorato di Nostra Signora di Montserrat a Madrid, sotto la guida del padre priore José Antón Gómez.
Fu lì che, il 17 luglio 1936, venne a sapere che il giorno prima si era verificato il sollevamento (“alzamiento”) della guarnigione di Melilla, avvenuta il giorno precedente e diede l’avviso ai confratelli: era l’inizio della guerra civile. Due giorni dopo, il 19, fu data alle fiamme l’allora cattedrale di Sant’Isidoro.
A quel punto, il priore ordinò che la comunità si disperdesse di nuovo, come già nel 1931, ma nelle ore seguenti i monaci tornarono più volte. Solo quando i miliziani comunisti occuparono il monastero, saccheggiando la chiesa, i legittimi abitanti non poterono più rientrare.
Padre Rafael riparò dunque in casa di un suo amico, che faceva il libraio, in calle Alberto Aguilera. Venne scoperto e condotto all’Ateneo Libertario in calle Ferraz. Il 4 ottobre 1936 venne fucilato a La Elipa; aveva 46 anni.
I suoi resti mortali sono conservati nella cosiddetta “sacrestia dei Martiri” nella chiesa di Nostra Signora di Montserrat a Madrid, in calle de San Bernardo 79.
Nello stesso luogo sono venerati anche i resti di altri tre suoi confratelli dello stesso monastero, morti nella medesima persecuzione: il priore José Antón Gómez, Antolín Pablos Villanueva, e Luis Vidaurrázaga González. Tutti e quattro, uniti in una medesima causa, sono stati beatificati il 29 ottobre 2016 a Madrid.

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Raffaele Alcocer Martínez, pregate per noi.

*Beato Raimondo da Capua (delle Vigne) - Domenicano (5 ottobre)

Capua (Ce), circa 1330 - Norimberga (Germania), 5 ottobre 1399
Della famiglia Delle Vigne, mentre era studente di diritto a Bologna, nel 1350 entrò nell'Ordine in quella città. Fu insegnante e priore in vari conventi italiani.
Su suggerimento della Madonna, Santa Caterina da Siena lo scelse come direttore spirituale, comunicandogli la sua ardente passione per la Chiesa e per il rinnovamento della vita religiosa.
Come provinciale di Lombardia e poi nel 1380 Maestro dell'Ordine si prodigò per restaurare la regolare osservanza tanto che fu considerato un secondo fondatore dell'Ordine. Lavorò anche per il ritorno del papa a Roma e per la soluzione dello scisma d'Occidente.
Martirologio Romano: A Norimberga nella Baviera, in Germania, Beato Raimondo delle Vigne, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che fu prudente guida spirituale di santa Caterina da Siena, di cui scrisse anche una biografia.
Ha studiato teologia dai Domenicani e poi giurisprudenza a Bologna. Sui trent’anni è direttore
spirituale o insegnante in varie comunità: da Montepulciano a Roma, e più tardi a Siena, dove si fa anche infermiere e confortatore nella pestilenza del 1374.
Nello stesso anno, eccolo direttore spirituale e confessore di Caterina da Siena, già nota a pontefici, a sovrani di tutta Europa e alla gente qualsiasi, per il suo modo tutto nuovo di affrontare problemi come la crociata in Terrasanta, il ritorno dei papi a Roma e la riforma della Chiesa. E per il suo passare da visioni e colloqui soprannaturali alle terrene ruvidezze della politica.
Entusiasma e preoccupa, Caterina. Qualcuno giunge a sospettare l’eresia in questa ragazza “monaca in casa” – una terziaria domenicana, si direbbe oggi – che fa tutto da sola, battitrice libera, e con le lettere e i colloqui scrolla i troni e le cattedre, discute con governanti, entusiasma la gioventù senese.
La sua piena ortodossia è riconosciuta dal Capitolo generale domenicano riunito a Firenze nel maggio 1374, che poi le mette al fianco appunto fra Raimondo. Per quattro anni lui l’accompagna anche nei suoi viaggi, e ad Avignone fa da interprete fra lei e Gregorio XI. Questo è il Pontefice che torna infine a Roma nel 1377.
Ma muore nel 1378 e, dopo l’elezione del successore Urbano VI, scoppia il grande scisma che durerà 39 anni, con un Papa a Roma e uno ad Avignone, dividendo l’Europa, i vescovi, gli Ordini religiosi. Raimondo, come Caterina, è per il Papa romano, e ne difende la causa nelle missioni in varie parti d’Europa.
Morendo nel 1380, Caterina gli ha predetto l’elezione a Maestro generale dei Domenicani, cosa che avviene nello stesso anno, risiedendo poi alternativamente in Italia e in Germania. Nello spirito cateriniano di riforma, imprime nuovo vigore spirituale all’Ordine, favorendo lo sviluppo del movimento di “osservanza”, sorto sull’esempio francescano. "In quest’opera si meritò il titolo di secondo fondatore dell’Ordine dei Predicatori" (G. D’Urso).
Tra le sue opere scritte, la più nota è la vita di Caterina. Sepolto dapprima a Norimberga, dove è morto, il suo corpo è stato poi portato a Napoli, nella chiesa di San Domenico Maggiore. Nel 1899 Leone XIII ne ha confermato il culto come Beato.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Raimondo da Capua, pregate per noi.

*Beato Sante da Cori - Sacerdote, Eremita Agostiniano (5 ottobre)

m. 1392
Nacque a Cori, nel Lazio, nella prima metà del 1300. Entrato nel convento di Sant'Agostino della sua città, ne divenne, in seguito, Priore.
La sua spiritualità, incentrata nell’amore alla Sacra Scrittura, si realizzò nella predicazione e nello spirito di penitenza.
Morì nel 1392.Il suo culto fu approvato da Leone XIII il primo febbraio 1888.
Martirologio Romano: A Cori nel Lazio, Beato Santo, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, che folle intere seguivano quando predicava la parola di Dio.
Nacque a Cori, nel Lazio, nella prima metà del 1300.
Entrato da giovane nell’Ordine agostiniano dopo la Grande Unione dei gruppi eremitici, ne ricevette una formazione intensa di santità di vita, d’amore per lo studio, soprattutto della Sacra Scrittura, di impegno nell’evangelizzazione e nella formazione spirituale e culturale, di ricerca di solitudine, ascesi, preghiera e penitenza.
Priore di Cori, si dedicò particolarmente allo studio della teologia ed esercitò con frutto l'apostolato della predicazione e per lo spirito di penitenza.
Di lui ci ha lasciato un breve, ma vivace, elogio il famoso concittadino Ambrogio Massari, che fu Priore Generale dell'Ordine agostiniano dal 1476 al 1485 e che a lui era imparentato. Morì nel 1392.
Il suo culto fu approvato da Leone XIII il primo febbraio 1888.
La sua memoria liturgica ricorre il 5 ottobre.

(Autore: P. Bruno Silvestrini O.S.A. - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Sante da Cori, pregate per noi.

*San Tranquilino Ubiarco Robles - Martire Messicano (5 ottobre)

Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Santi Martiri Messicani (Cristoforo Magallanes Jara e 24 compagni)”
“Martiri Messicani”
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Presso la località Tepatitlán in Messico, San Tranquillino Ubiarco, sacerdote e martire, che, durante la persecuzione contro la Chiesa, appeso ad un albero per aver svolto incessantemente il ministero pastorale, portò a compimento il suo glorioso martirio.
Nacque a Zapotlánel Grande, Jalisco (Diocesi di Ciudad Guzmán) l'8 luglio 1899.
Vicario con funzioni di parroco a Tepatitlán, Jalisco (Diocesi di San Juan de los Lagos).
Fu uno degli istancabili ministri nei tempi difficili della persecuzione. Non veniva fermato da nulla.
Pieno di carita, andava ad amministrare i sacramenti ed a sostenere la vita cristiana tra i fedeli impartendo l'Eucarestia nelle case.
All'inizio del mese di ottobre del 1928 andò a Guadalajara a comprare quanto era necessario per il Sacrificio Eucaristico.

Qualcuno gli fece notare che la sua zona pastorale era posta in una delle zone di maggior pericolo: Los Altos de Jalisco.
Allora il Padre Ubiarco con molta semplicità replicò: "Ormai ritorno alla mia parrocchia, vediamo che posso fare e se mi toccherà morire per Dio, sia benedetto".
Una notte si stava preparando a celebrare l'Eucarestia ed a benedire un matrimonio, quando lo fecero prigioniero e lo condannano a morire impiccato su un albero del viale, fuori città.
Con fermezza cristiana benedisse la grossa fune, strumento del suo martirio, ed ad un soldato che non volle partecipare al crimine, disse, ripetendo le parole del Maestro: "Oggi verrai con me in paradiso".
Era la mattina del 5 ottobre 1928.
(Autore: Mons. Oscar Sánchez Barba, Postulatore – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Tranquilino Ubiarco Robles, pregate per noi.

*Santa Tullia - Venerata a Manosque (5 ottobre)

Le notizie conosciute ci pervengono dalla “Vita Consortiae” che parla di Tullia e di sua sorella Santa Consorzia. Sarebbe stata figlia di Sant'Eucherio di Lione e di Galla sua moglie, ebbe numerosi fratelli e sorelle di cui due sono i Santi Salonio e Verano. Fu educata a Lérins raggiungendo grande fama per le sue virtù verginali; morì fra il 425 e 433 molto prima della sorella Consorzia.
Patronato: Basse Alpi
Etimologia: Tullia = della famiglia Tullia, dal latino
Per quanto si sfoglino i calendari e i Martirologi della Chiesa, o anche i Martirologi nazionali o propri di vari Ordini religiosi, non si riesce a trovare un Santo che ripeta un nome famoso nell'antichità e ancora diffusissimo: quello del grande avvocato d'Irpino, Marco Tullio Cicerone.
Ai nostri giorni, il celebre oratore viene indicato, col nome, universalmente noto, di Cicerone; un tempo però egli veniva indicato volentieri, e altrettanto chiaramente, col solo nome di Tullio; e se
egli era il Tullio più famoso, non era stato certamente l'unico di tale nome nel mondo antico.
Per i Romani, Tullio significava "discendente di Tullo", e Tullo, a sua volta, si chiamò uno dei leggendari sette Re di Roma, Tullo Ostilio, il terzo della serie. Si dice che il nome di Tullio abbia un'origine quanto mai suggestiva.
Deriverebbe infatti dal verbo tollere, che significava sollevare e anche allevare, e che era usato per indicare il gesto, comune nell'antichità, con il quale il padre era solito riconoscere il figlio nuovo nato.
Subito dopo la nascita, la levatrice deponeva per terra l'infante. Il padre lo sollevava tra le braccia, riconoscendo in tal modo la sua paternità. Poteva anche non raccoglierlo, negando così la sua legittima discendenza. E chiamare un figlio con nome di Tullo, era come dichiarare ad alta voce che egli era stato "tolto", cioè raccolto e riconosciuto dal proprio padre.
Ma, come abbiamo detto, nessun Tullio né Tullo è stato raccolto dai calendari. In compenso, in Francia è festeggiata oggi una Santa Tullia, unica di questo nome. Anche di lei il fatto più curioso resta, a prima impressione, la paternità, perché era la figlia del Vescovo di Lione, Eucherio.
Non si pensi a disordini né a unioni irregolari. Nel V secolo, al tempo di Eucherio, nessuna norma vietava infatti ai Vescovi di avere famiglia; o meglio di eleggere Vescovi che avessero già moglie e magari figli.
Al contrario, la consorte e la prole, con la loro condotta e le loro virtù, potevano contribuire a far cadere, sul padre e marito, la scelta della comunità cristiana bisognosa di un Vescovo.
La donna sposata da Eucherio si chiamava Galla. Gli aveva dato due figlie: Tullia e Consorzia. Fanciulle, furono affidate ad un monastero, dove vennero educate accuratamente e santamente allevate. Ad una certa età, d'accordo con la moglie, anche Eucherio si ritirò nel monastero della celebre isola di Lérins.
Ne uscì soltanto quando venne chiamato sulla cattedra episcopale di Lione. Esemplare come pastore, ammirato come scrittore, il Vescovo Eucherio, dopo la morte, venne onorato come un Santo. E Sante furono considerate anche le sue due figlie: Tullia, festeggiata oggi, e Consorzia, ricordata il 22 giugno. Esse trascorsero tutta la loro vita nel monastero, santificandosi segretamente, in umiltà e in preghiera.
Perciò, quasi nessuna eco della loro virtù è giunta fino a noi, anche se la loro festa è celebrata in tre diocesi della Francia, e quella di Santa Tullia, in particolare, nella città dei Bassi Pirenei che della Santa figlia di Eucherio ripete il nome: Tulle, cioè Tullia.

(Fonte: Archivio Parrocchia - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Tullia, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (5 ottobre)

*Santa Faustina Kowalska - Religiosa
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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